13 novembre 2007

I PAESAGGI DELL'ANIMA


A Luciano pictor maximus.
Ripenso ad una sera di tanti anni fa, mentre eravamo intenti a rubare attimi al tempo, solidali e indifferenti ai richiami del mondo, immersi in quell’aria calda ed accogliente dell’estate “acese”, fermi ed immobili, osservatori compiaciuti d’una dispersione di senso.
E mentre accarezzavamo l'ombra, una possibilità ci si offriva, d’un tratto, di intravedere i paesaggi dell’anima, in quell’acquietarsi serale delle emozioni, frutto di quell’apparente fissazione dell’essere, d’improvviso un accensione dello spirito, ci rese partecipi di un evento, contaminati e dispersi, in un attimo, ebbimo la coscienza di essere forme vibranti di luce e nello stesso tempo l’esatta cognizione del lento inesorabile trans/correre delle cose e della nostra inclinazione al nulla.
Un attimo rubato, infranto nell’eco lontana d’una notte d’estate, sempre presente nel declinare delle nostre storie.
Ecco, L’inizio del cammino artistico di Luciano Vadalà.
E’ quel sentire la liquida presenza dell’ombra, il tocco di entropia che contamina le cose, il pathos che ne deriva.
Le stanze dell’artista sono i laboratori dell’anima.
In quelle stanze si sente sfiorire l’essenza spirituale del mondo, prima raccolta, e poi espunta dal corpo sacrificale, essa si libra leggera ed erra nel pulviscolo, nel colaticcio cromatico e lucescente, materia d’una rinascita di codici scritturali antichi, istos; In esse si descrive l’aerea alchimia del corpo e di presso le segrete corrispondenze dell’anima.
E come se l’aria fosse investita da un fremito eterno, dall’appagato ed appagante esserci, nella penombra calda ed accogliente della creazione.
Respiro del mondo, calmo e piatto, geometrico, artefatto, soggettivo, fascinazione dell’omogeneità del corpo con l’intero creato.
In esse la storia dell’uomo artista si ricompone per frammenti retrospettivi da Piero, a Michelangelo, per arrivare a Schiele, a Bacon a Vespignani, in un percorso a ritroso a cavare le forme.
E d’improvviso il silenzio a rinnegare le costruzioni per memoria, secondo definiti canoni pittorici, per raggiungere l’arte come libera espressione dello spirito che si posa sulle cose, che si delinea nel suo farsi, libera di abbandonarsi alla poesia degli sguardi, delle presenze. la realtà erompe ed imprime alle cose il suo ritmo, e il nostro vi si lascia trasportare, senza imbrigliamenti, appagato dalla fusione empatetica che attraverso le cose raccontate disvela una prossimità con i paesaggi dell’anima appunto…
La grana della materia pittorica esaltata dal contatto vivificante, bagna di sé il mondo, e imprime al desiderio, un movimento ellittico, obliquo, permanentemente orientato verso il nulla.
Estrema ratio d’una sicilianità vissuta come segregazione in un limbo di non esistenza, frutto di una scelta segnata dall’ accettazione dei ritmi indolenti di questo anfratto di spazio tempo, in cui le scelte pesano come macigni e il cuore mai riposa ma tesse la tela di una perdizione procrastinata e sempre ricomposta, accomodata, una via di fuga apparente messa lì come alibi di vita e poi sempre occlusa, a causa del crescendo ingombrante della varia umanità dell’isola, dove tutto è ristagno e le idee sostano sul limitare della vita senza mai esporsi, segno d’indistinzione o genesi dell’obliquo?
I paesaggi descritti non fermentano dì inutili prolissità, non raccontano d’un mondo retorico e pregno di accadimenti virulenti, in essi il caldo, l’afa, il sonno della ragione vengono sedimentati, circoscritti.
Desensibilizzati, facenti parte di un orchestrazione che prelude al silenzio.
Il furor è fissato, nell’attimo ne prima ne dopo del suo dissolversi in qualcosa che è prossimo al destarsi dei sensi, della manifestazione vitale d’un estasi compressa, in un mondo incantato che ci guarda ammiccante e ci chiede complicità; e in tutto sovrabbondante spira l’aura tersa e pesante del pomeridiano acquietarsi delle tensioni.
In una quasi sospensione del senso e del giudizio che fa posto al libero corso ……..del pensiero, ricamo di filigrana antica che maturato nella canicola diurna ingombra di sé, l’intero creato e fa da contrappunto alla grazia segreta e temporale di quegli smisurati attimi dello sfibrarsi dei corpi in una consustanzialità materica che è essenza dello spazio pittorico, materia signata, danza immobile di corpi irradianti luce riflessa, perché riflessi dell’occhio numinoso dell’artista, che si posa, e salva. Grandezza dell’arte. Fffftlack….Ecco , ritorna, come signatura profonda, dalle stanze, da quel calore vitale delle forme de / ri - composte, attaccate all’esistenza, come alle pareti i lacerti di organica residualità, nella penombra oscena di filamenti corporei, un eccesso di esistenza come multiforme volontà di espressione insita nelle cose.
Lo spazio si solidifica dinamicamente negli scambi cromatici, tra figura e sfondo, nelle densità timbriche, nei tenui contrasti luminosi, composto di materia uranica si posa ridondante sulle forme ricomposte in attesa, sospese in questo fra mondo, viluppo d’amniotica preesistenza della forme.
I corpi prepotentemente geometrici fanno da contrappunto all’indistinzione dei non luoghi, frutto di rarefatta memoria, delineano la necessità di uno spazio misurabile a partire dal loro sentire.
L’espressione artistica di Luciano come attimo rubato al divenire sostanzia lo scambio simbolico tra corpo e spirito. Le stanze dell’anima racchiudono segreti, sono simulacri di un identità postuma, fuggita dall’agone della contemporaneità, persa negli anfratti dello spazio tempo e per ciò stesso relegata in un mondo unidirezionale, concentrato sulla verticalità, che guarda al di là dei facili compromessi derivanti dall’adesione al tempo.
Tutto sorge a partire da una sospensione del tempo, mentre la natura immobile attende il rigenerante vento di terra, che vivifica le stanze, il mare, di fuori, anch'esso immobile attende.
La creazione attende una nuova nascita……
Il fruscio leggero della tecnologia d’uso comune, filtra le cose mediandole con flash luminosi……su tutto debordante ed assoluta si staglia la presenza dell’artifex.
Ecco, Il fruscio sensibile del pennello scivola sulla tela è l’incanto della creazione che per un tempo incomparabile, eccedenza di realtà, diventa misura e quintessenza della materia, e comincia a profondere a partire da quel tutto condizionato ed estremo, radicalità dell’agire, la propria indicibile sete di vita, ed è qui, si,
nell’attimo e nella penombra, fragile e contaminata, come opposto rafforzativo, che si staglia, la quieta presenza della morte.
E poco più in là, L’anima mundi.

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