29 maggio 2008

UN PIANO DI RECUPERO PER MONFORTE S.G.


I punti cardine su cui si radica l’esigenza di dotarsi di uno strumento urbanistico avente piena esecutività, prende spunto da accadimenti recenti che vedono Monforte protagonista di fatti di cronaca ( I crolli di abitazioni vetuste), dalla considerazione che il traguardo dell’approvazione del piano regolatore generale, non fa altro che irrigidire vincolandole le prospettive di sviluppo controllato e gerarchizzato del centro storico.
Ecco allora sorgere la necessità che diventa ferma convinzione, che occorre svoltare per il bene del paese, per imprimere un accelerazione verso l’esigenza ora più che mai sentita dalla popolazione Monfortese, di dotarsi di uno strumento urbanistico che vincoli sì, ma che definisca, nelle sue proiezioni analitiche frutto di uno studio del paesaggio urbano, le prassi progettuali da adottare nell’operatività quotidiana.
L’esercizio della politica, sposa, così, perché è suo compito farlo, le richieste della cittadinanza, e si attiva a creare le condizioni per la praticabilità di un percorso finalizzato alla salvaguardia degli interessi sociali.
Il punto programmatico su cui si fonda l’agire politico deve essere rivolto a garantire la salvaguardia del patrimonio esistente logorato dall’inesercizio e dalla incuria del tempo.
Tale agire non prescinde dal riconoscimento del valore storico e culturale della città storica, nella sua unità di episodi eccezionali, di monumenti e di edilizia minore ed è teso ad impedire ai nuovi linguaggi del costruire di deturpare sempre più l’immagine già peraltro gravemente compromessa del paese.
L’art. 27 della legge 457 fornisce la coordinate concettuali del progetto di recupero che si deve necessariamente promuovere, infatti in esso si recita che: “ i comuni individuano, nell'ambito degli strumenti urbanistici generali, le zone ove, per le condizioni di degrado, si renda opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente mediante interventi rivolti alla conservazione, al risanamento, alla ricostruzione e alla migliore utilizzazione del patrimonio stesso.”
Non si può non tenere conto, altresì, che nel quadro di rilancio di realtà urbane medio collinari perseguito dalla regione in attuazione di direttive europee ed ottenuto attraverso la risistemazione di piazze e chiese dei centri storici, si è operato in maniera spesso non omogenea alle dinamiche interne di ri-creazione degli ambiti urbani , ma attenti esclusivamente ad un ridisegno complessivo del territorio secondo principi di sovrapposizione alle singole realtà territoriali, radicando gli interventi in un idea di area vasta e creando per ciò stesso un imprinting culturale omologante che mal si concilia con le specificità tipo-morfologiche dei luoghi.
In tal senso un amministrazione che intende andare oltre, deve proporre attraverso il progetto la riattivazione di processi economico sociali atti a far emergere nel tessuto connettivo proprio del farsi città, nella polpa viva che costituisce la massa critica della popolazione un nuovo interesse che rinsaldi lo spirito di appartenenza, rivolto specialmente a garantire le istanze di quella popolazione giovanile spostatasi nei centri costieri limitrofi.
Ciò nella convinzione che l’abbandono sistematicamente operato degli stili di vita più consoni ai ritmi delle natura, sia l’unica spiegazione del degrado socio culturale dei tempi moderni.
Tale convincimento nasce non dalla solita solfa nostalgica, ma è il frutto maturo di un analisi impietosa che continuamente trova riscontri oggettivi, ( leggere il post La Cura).
Da ciò il nostro credo che deve diventare prassi politica, azione.
Non si tratta di rinverdire gli antichi fasti, ma a partire da Monforte ricostruire un idea di vivibilità che non si trova certo nei casermoni dormitorio dei centri costieri, dove hanno gioco facile coloro che lucrano esclusivamente su rendite che non hanno più un limite economico cui riferirsi.
Un rinnovato interesse all’acquisto di abitazioni nei centri medio collinari, potrebbe calmierare i prezzi di mercato delle abitazioni, per effetto di un offerta abitativa più dinamica non più relegata a valle.
Innescare un meccanismo virtuoso, un controesodo, fomite di nuove possibilità.
E’ un augurio, una certezza.

24 maggio 2008

LA COLONIZZAZIONE DELL'IMBECILLITA'

È sintomatico di un mal costume tutto Italiano quello che sta accadendo in questi giorni alla Regione Sicilia. Nelle stanze lontane di Roma si contratta il futuro governo del territorio Siciliano, tutto, senza alcuna attenzione alla forma che, lo dico a quanti non capiscono, è sostanza, soprattutto quando è in gioco il riscatto sempre più sperato ma lontano dal concretizzarsi.. il famoso riscatto dei siciliani da un empasse endemica che è ormai dato strutturale.
A questa legislatura piena come sempre di buoni propositi viene instillato un virus, un deterrente atto a stabilire se non si fosse capito chi comanda chi o che cosa, poche menti geniali hanno partorito così un figlio orbo, zoppo etc etc..
Veti, singolari diktat costruiti ad personam, non riusciranno a far spiccare il volo a questa compagine, perché?
una sola risposta.. vecchia, stantia, becera, criminale politica, fatta di interessucoli miserabili di parte, di leccaculismo in salsa romana, frutto di cordate clientelari presuntamente amiche, che hanno aperto il fuoco di fila, sparando cannonate, soprattutto ai propri sodali, nella vana, quanto illusoria speranza che questo tiro al piccione, questo sacrificio necessario, porti benefici su altri tavoli, sotto altre forme, seguendo una logica che vola alto, altissimo o bassissimo a seconda dei punti di vista.
Dov'è il quotidiano lottare per vivere, in queste scelte, dov'è la salvaguardia dell'interesse collettivo; sempre più lontano, tutto accade, lontano dal brusio montante di coloro che chiedono un futuro per sè, per i propri cari, nelle cosidette stanze dei bottoni, delle cerniere, dei calzoni alla zuava, dove non risuona più il batter di tacchi, l’eia eia alalà, altra musica oggi più strisciante meno nostalgica, ma pur sempre eco della voce del padrone… ma di più debole tonalità, flebile, senza la palle risonanti d’un tempo, quando si lavorava la terra e lo si capiva il senso della terra.
E Torniamoci alla terra, a questa nostra amata terra martoriata con la vanga e quant’altro occorre , bonifichiamola dalle sozzure che la infestano, facciamone un meraviglioso giardino aperto ad oriente…
Non sentono, sordi a tutto tranne che ai loro calcoletti piccini piccini, in quella stanza delle asole, ricca di cimeli dimenticati, il levarsi continuo, incessante di preghiere, di coloro che vivono nella speranza di dare una svolta alla loro vita, di chi vive la politica sul campo, con spirito di servizio, che le sente continuamente, anche di notte, le richieste di una vita normale che possa essere vissuta con dignità, quanta umanità si incontra giorno per giorno, penso ai Micheli, ai Gaetani, ai Carmeli, etc etc, ai loro volti che hanno impresso un desiderio, anzi il desiderio di avere famiglia, lavoro, una sistemazione così la chiamano, con una sola speranza che qualcosa cambierà perchè c’è la volontà, la voglia , la possibilità di farlo;
ma nella asettiche, impenetrabili stanze di Roma, non ci sono volti nè vita, tutto è imbalsamato, si decide secondo logiche che poco hanno a che vedere col principio di edificazione di un territorio, premiale dello sforzo di intere compagini umane, che rischiano, e mettono la loro faccia, la loro storia, sul campo credendo che lo sforzo e l’impegno diuturno venga premiato.
Non è così, lo scollamento tra la politica che vive il proprio tempo come una missione e le strategie imperscrutabili dei maggiorenti di partito è giunto al culmine…
Questa misera insulsa fallimentare legge elettorale ha generato un delirio di onnipotenza nella psiche di poche deboli menti, che se ne fottono di tutto..e operano cinicamente le loro scelte, sicuri solamente dell’arroganza del loro potere.

23 maggio 2008

360°

Andare al di là della politica per perseguire una strategia fondata su un adeguata programmazione culturale.
Non si tratta di dar vita ad un nuovo modello culturale frutto di una sterile quanto riduttiva adesione alle mode aprospettiche (vedi le tre i, le quattro f, etc etc) , si tratta di recuperare ciò che si è apparentemente smarrito, i valori dimenticati dell'occidente e sviluppare al contempo una capacità critica che implica il discernere autonomamente non avallando scelte preconfezionate che mistificano la storia.
Perseguire un pluralismo culturale attraverso una politica volta a suscitare possibilità di confronto.
Bisogna poi scardinare il nesso storico, oramai stantio, costruito ad arte dalla sinistra tra cultura, aggregazione giovanile e politica, rafforzato dall’occupazione sistematica degli ambiti universitari e dei centri di cultura. Quanti di noi sono caduti, in anni abbastanza recenti, sol perchè eravamo voce fuori dal coro, quante carriere accademiche sono state stroncate sul nascere.
Non va perseguita una battaglia contro, sarebbe riduttivo ed autolesionistico.
Ricercare invece un equilibrio tra differenti visioni del mondo, muovendosi in maniera panottica a 360 gradi, un equilibrio che sappia essere fonte di un rinnovato dibattito culturale non più esacerbato da condizionamenti pretestuosi.
Una visione integrata e plurale tesa a recuperare in maniera dinamica quanto inerisce l’immenso patrimonio storico- culturale che ci contraddistingue.

21 maggio 2008

CHORA

Ricche, numerose, inesauribili, sono le interpretazioni che informano la significazione o il valore di chora. Esse consistono sempre a dare forma ad essa, determinandola, essa che, tuttavia, non può offrirsi o promettersi se non sottraendosi ad ogni determinazione, a tutte le marche o impressioni alle quali noi la diciamo esposta: a tutto ciò che vorremmo darle senza sperare di ricevere niente da essa... Ma quanto avanziamo in questa sede intorno all'interpretazione della chora - del testo di Platone sulla chora - parlando della forma data o ricevuta, di marca o impressione, di conoscenza come informazione, etc., tutto ciò attinge già a quanto il testo stesso dice della chora, al suo dispositivo concettuale ed ermeneutico. Ciò che, per esempio, per l'esempio, avanziamo riguardo alla “chora” nel testo di Platone riproduce o riporta semplicemente, con tutti i suoi schemi, il discorso di Platone circa la chora. Ciò anche in questa stessa frase dove mi sono appena servito della parola schema. Gli schemata sono le figure staccate ed impresse nella chora, le forme che l'informano. Esse ritornano a lei, senza che le appartengano. Delle interpretazioni darebbero, dunque, forma a “chora”, lasciandovi la marca schematica della loro impronta e depositandovi il sedimento del loro apporto. E, tuttavia, “chora” sembra non lasciarsi neanche raggiungere o toccare, ancor meno scalfire, soprattutto sembra non farsi esaurire da questi tipi di traduzione tropica o interpretativa. Non si può neanche dire che essa fornisca loro il supporto d'un substrato o d'una sostanza stabile. Chora non è un soggetto. Non è il soggetto. Né il supporto (subjectile). I tipi ermeneutici non possono informare, non possono dar forma alla chora se non nella misura in cui, inaccessibile, impassibile, “amorfa” (amorphon, 51a) e sempre vergine, di una verginità radicalmente ribelle all'antropomorfismo, essa sembra ricevere questi tipi e dar luogo ad essi. Ma se Timeo impiega il nome di ricettacolo (dechomenon) o luogo (chora), questi nomi non designano un'essenza, l'essere stabile di un eidos, giacche chora non è ne dell'ordine dell' eidos, né dell'ordine delle mimesi, delle immagini dell'eidos, le quali si imprimono in essa - che così non è, non appartiene ai due generi d'essere conosciuti o riconosciuti. Essa non è e questo-non-essere non può che annunciarsi, vale a dire non lasciarsi prendere o concepire, attraverso gli schemi antropomorfici del ricevere o del dare. Chora non è, soprattutto, un supporto o un soggetto che darebbe luogo ricevendo o concependo, anzi lasciandosi concepire. Come negarle questa significazione essenziale di ricettacolo dal momento che questo nome le è stato attribuito da Platone? È difficile. Forse non abbiamo ancora pensato ciò che vuoI dire ricevere, il ricevere da questo ricettacolo, ciò che dice dechomai, dechomenon. Forse è questo di chora che cominceremo ad apprendere- a riceverlo. (J. DERRIDA)

16 maggio 2008

APPUNTI DI EROTICA DELLO SPAZIO

L’Artista- architetto dispiega tutto il suo ingegno alla ricerca di uno spazio che assomigli alla “Chora Platonica”, un luogo neutro, che possa essere riempito dalle forme tratte dal repertorio della sua memoria personale e da quello della memoria collettiva.
Questo sito è ou-topos, è il non luogo dell’utopia.
Oltre l’utopia c’è lo Scaling, in cui il luogo è a-topico, esso non viene sublimato come nel sogno utopico (sogno del sito originario), ma viene piuttosto attraversato da una forza che rende visibili le differenze che lo abitano, trasforma le cose che vi sono depositate negli elementi di una tensione conoscitiva.
Come dice esemplarmente Simone Weil, “Bisogna essere radicati nell’assenza di luogo.”
Le radici gnoseologiche del progetto fanno riferimento ad una realtà possibile, liminare, interstiziale, data dalla fluttuazione “erotica” tra opposti, (maschio-femmina, luce-ombra, orizzontale-verticale, etc..).
L’immaginazione attivata dal contatto fa dell’essere diviso un unità de-situata e a-topica, in quanto la sua essenza sta sempre nella dualità.
Progettare, nel senso impresso alle cose del mondo, significa costruire il luogo di questa differenza, perché ciò che è solo possibile diventi reale.
Nella strutturazione della realtà attivare la facoltà di creare somiglianze fra oggetti che sono del tutto indipendenti, differenti e diversi, e connettere a unità ciò che più è molteplice, differente, lo spirito combinatorio.
Lo spirito combinatorio finalizzato alla crescita spirituale del singolo fruitore, determina l’interesse concettuale volto alla definizione-costruzione di cellule simboliche.
Cellule simboliche come loci mnemonici, concepite come unità nella diversità, armonie dissonanti, in quanto costituite da elementi singolarmente riconoscibili oltre la con-fusione del sistema di riferimento.
Spazi della memoria come apertura alle possibilità narrative dei luoghi.
Spazi emblematici.
Congiunzioni esaltanti, in cui gli oggetti parlanti, risonanti e le muse riecheggino l’impossibilità dell’ uomo / maschera di riscattarsi nel teatro tragico dell’esistenza.
Comporre oggi vuol dire affondare le mani nelle discariche formali, alla ricerca di oggetti residuali, di ciò che è rimasto della conoscenza come frutto di una deriva culturale.

14 maggio 2008

AFFIORAMENTI

Raccontare di un progetto per la biennale arte di Venezia di qualche anno fa, progetto mai realizzato, può essere interessante a far comprendere il fermento creativo, le elaborazioni concettuali..il fervore che sale….
Accostatevi a questo scritto come ad un arancino, si concretizza mordendolo.

Affioramenti.1 prima idea.
Ciò che rimane, dopo la catastrofe è il senso di una geometria perduta, perfettibile.
La contaminazione di tutte le forme in una sorta d’ibridazione creativa che invece di distinguere contamina di sé tutte le cose.
Immagino un involucro che ha una struttura in legno e ferro, ed è costituito da una doppia pelle all’interno plastica, colorata effervescente, carica dei simboli della cultura mediterranea, questo involucro è lucescente, costituito tecnicamente da un anima luminosa installata all’interno dei 30 cm di spessore dell’intero telaio, tale anima fibrilla come tutto il contesto, è instabile si evolve verso stadi di maturazione organica, quasi avesse un esistenza, una coscienza propria, macchinale.

ome tutto il contesto, è instabile si evolve verso stadi di maturazione organica, quasi avesse un esistenza propria. e, costitu

Affioramenti.2 seconda idea.
Ciò che rimane oppure ciò che non è ancora.
Ciò che affiora può essere un confine, un limite, un bordo significante in cui raccogliere i pezzi di una memoria da ricostruire oppure un confine che sconfina, verso memorie luminose di simultaneità “pertinente”.
Affioramenti come porta d’ingresso verso codici performativi in cui si esprime una nuova predisposizione corporea a sentire, a captare come sismografi della contemporaneità.
L’involucro del padiglione, è di forma cubica, la sua composizione è da intendersi in una chiave processuale, ciò che emerge come dato finale è la distorsione dell’involucro frutto di una fibrillazione dello spazio, spazio della tecnocomunicazione, in cui strutture mutanti generate nelle pixel-zone, aree occupate da una logica geometrica frattale, emergono, stazionando entro i confini di quest’area “sacra”.
Esso è Ciò che rimane della storia, un reperto affiorato dal mare, dopo la caduta.
Luogo della memoria.
E ancora luogo dove si scorge il non ancora rappresentato, si anticipa il non ancora comprensibile.
Il padiglione all’esterno è rivestito con lamelle di rame o zinco acidato, collocate su un rivestimento sottostante di assi di legno.
La retroilluminazione dei pannelli in plexi relative alle foto di marchica che dovranno essere stampate su una superficie di 2,30 x 1,10 ca, e alla porzione sottostante lo schermo per la proiezione di immagini e sotto il tappeto di zappalà che verrà appeso a parete e dovrà avere una dimensione di 2,50 x 5,00 ca, sarà realizzata con l’uso di semplici neon. A soffitto verrà collocata l’opera di guzzetta (l’onda).
Al centro della composizione c’è l’opera di Russo.
La scultura di Marchese ho immaginato di collocarla fuori, in prossimità dell’angolo a sinistra dell’ingresso, in quel punto il cubo (Kaaba) subisce la distorsione maggiore rispetto all’ortogonale, e richiama l’idea voluta della chiglia di una nave, la scultura oltre a definire un effetto di drammatizzazione dello spazio serve a semplificare e a rendere meccanicamente percepibile l’intera contestualizzazione.
Il viaggiatore è fuori e sta per entrare all’interno.

ex occidente lecito campo
introitus patet haut claustris sunt ostia clausa
janua se pandit nec male progrederis
Un cubo distorto esternamente nero di 6 metri per lato.
Il rivestimento esterno è composto di lamelle di zinco acidato; Il piano di calpestio è in assi di legno, segnati a scacchiera; la struttura portante è in legno e ferro; le pareti interne sono ricoperte di fotografie e\o opere polimateriche e/o pannelli di plastica colorata retroilluminate.
La luce, all’interno del cubo per la maggior parte proviene dalla retroilluminazione dei pannelli verticali, l’intercapedine tra il telaio strutturale e le pannellature interne misura cm.15 ca, tali da contenere gli ingombri tecnologici, utili alle interazioni virtuali.
Un eccesso di luce- verticale/ un eccesso d’ombra- orizzontale.
L’ingresso è posto su un angolo svuotato;
In prossimità dell’ingresso all’esterno , è collocata una scultura antropomorfa.
Sempre all’esterno nell’angolo caratterizzato dallo scarto più cospicuo rispetto alla verticale si materializza la quinta di un dire artificiale, ibridazione semantica di un luogo topico che diventa non luogo nell’assolutizzazione della virtualità dell’accadere, l’avambraccio effimero dell’occidente.
All’interno, sulla parete di fronte all’ingresso in uno schermo scorre un testo in lingua araba, ripetuto da una voce salmodiante in arabo.
Al centro del cubo, all’interno, un menhir neobarocco dichiara un assenza, circoscrive un vuoto, alla maniera del pizzicotto zen, amplifica un dire e un sentire che si dà nella liquidità, nell’erosione delle certezze spazio/temporali.
Il nucleo centrale dell’opera è, dunque, il viaggio nella contrapposizione tra l’eccesso del nero e la violenza della luce e delle immagini, o tra interiore\esteriore, occidente\oriente, amico\nemico, negazione\affermazione, iconoclastia\iconografia: il legame ambiguo e obliquo, indecidibile e indicibile, del flusso migratorio contemporaneo, il conflitto nel punto dove si intravede il non ancora rappresentato, si anticipa il non ancora comprensibile.
All’ingresso della Kaaba , gli uomini, come sismografi della contemporaneità, e gli affioramenti come varchi in cui strutture mutanti generate nelle pixel-zone e aree occupate dalla logica geometrica frattale, predispongono la distorsione/destrutturazione del cubo\involucro, frutto di una fibrillazione dello spazio che è spazio della tecnocomunicazione.
Nient’altro che Affioramenti, entro i confini di quest’area “sacra”, come fluttuazioni della memoria e del desiderio.

Opere:

  • 6 elaborazioni fotografiche (allegato 1) di Marchica – misura 2.20 x 1.10 ca – collocazione: parete a sinistra entrando
  • Scultura lignea (allegato 2) di Salvo Russo – misura 2.35 x 1.40 – collocazione: centro interno.
  • Installazione lignea lamellare (allegato 3) di Concetto Guzzetta – misura 4,00 x 4,00 ca - collocazione: soffitto.
  • Installazione polimaterica (allegato 4) di Nicola Zappalà - misura 2.50 x 5.00 ca - collocazione: parete destra entrando.
  • Scultura lapidea (allegato 5) di Antonio Portale – misura 3.00 x 1.20 x 0.70 - collocazione: esterno fronte ingresso.
  • Scultura marmorea (allegato 6) di Silvio marchese - misura 1.20 x 0.90 - collocazione: esterno angolo a sinistra dell’ingresso.
  • video con testo arabo

12 maggio 2008

UNO

derive
scorrimenti veloci
tracce di pneumatici sull'asfalto
sedimentazioni tipiche di un era tecnologizzata.
Come fare interagire il lento col veloce.
Questa la domanda.
Come fare a guardarsi ancora negli occhi e vedere la profondità degli abissi.
Come fare ad evocare attraverso l'odore il suono il colore il calore
l'uomo, la sua storia
nello spazio del vissuto inteso come emanazione necessaria del vivente,
come sensualità rappresa nella statica celeste della fabbrica del mondo.
E' dovere immergersi nella vita, nel respiro che ci accomuna.
La foglia nasce dall'albero
cresce....
immota l'aria accoglie ancora e sempre vaghe parole
sonore??
illuminate?

06 maggio 2008

ANIMA MIA

Tacere,
è perdere le parole,
quelle che hai dentro,
rincattucciate in un angolo del cuore,
ecco,
provo a guardarmi dentro,
è un salto nel vuoto,
lo so,
ed ho paura,
poi mi dico..
Vito,
prova ad abbattere le barriere tra te e il mondo,
soprattutto quelle della cattiva coscienza...
nell'aria tersa e fresca
di questa primavera, ancora una volta ti ritrovo
nell'attimo eterno del sogno,
come lieve soffio,
che non passa,
che sgorga libero
e sempre rinasce
dal fondo del cuore.
e Ti cerco, nella fretta degli incontri,
in un abbraccio,
in uno sguardo,
nel dolore condiviso,
nel non dirsi mai, o troppo poco,
ti voglio bene,
o semplicemente nell'esserci.
Sei Tu che mi hai accolto, che mi custodisci,
anima mia...