17 settembre 2012

1 - Pietro Barcellona




"Il tempo nostro è l'unico che abbiamo a disposizione e occorre occuparlo con determinazione e con dignità." (R. Pierantoni).

Questo scritto, di qualche anno fa, è frutto della diuturna frequentazione di due libri del prof. Pietro Barcellona, citati nel post precedente.

Il Chi Siamo è rappresentativo di un legame inscindibile tra l'uomo, il suo pensiero e la terra che lo accoglie;
è bisogno di riconoscimento, di condivisione, di idealità.

Per questo, penso ad un poema dei Veri Siciliani, ma c'è bisogno di aiuto,
occorre dissodare la nostra terra!!!

Sono convinto, con Pietro Barcellona e lo ripeterò fino alla noia,   che la socializzazione è il rimosso della modernità, è siccome la socializzazione è lo spazio entro cui è possibile costruire un ragionamento sulla politica, ergo la modernità tende a negare la politica e l’idea stessa di società. La vocazione autentica della modernità è spoliticizzare la società. Non si discute più della socializzazione, del legame sociale, del modo in cui siamo vincolati ( la Paideia era centrale per i Greci e per i Cristiani, non lo è per noi che vogliamo una scuola “ neutrale e pluralista”.) Con tutte le discrasie che ne conseguono. Come affermava Cornelius Castoriadis, “la politica democratica non è altro che la socializzazione consapevole, il tentativo di padroneggiare il processo nel quale, attraverso l’esperienza quotidiana, si realizza la socializzazione della psiche.” Ci si socializza parlando, discutendo, leggendo il giornale, stringendo le mani, andando al bar… Tutto ciò è in gran parte un accadere che noi viviamo come fatto naturale, come si trattasse di funzioni biologiche, ma in realtà è un processo storico-sociale dal quale è possibile prendere le distanze solo attraverso la riflessione. Questo processo storico – sociale viene negato nella modernità, che riconosce solo l’individuo senza legami. Bisogna però capire che i soli diritti soggettivi rendono vulnerabile chi li invoca, mentre il governo consapevole della socializzazione come sfera che appartiene all’esperienza di sé attraverso gli altri e con gli altri, pone limiti allo strapotere dei forti. La socializzazione è legata allo spazio simbolico e se non c’è spazio simbolico non ci può essere socializzazione. D’altronde lo spazio simbolico è veramente tale se rende presente qualcosa che è assente. L’idea di rappresentanza politica è stata costruita sulla base di riferimenti sociali e collettivi, ma oggi ( proprio perché viviamo una fase di disgregazione) la rappresentanza non funziona più e non c’è spazio simbolico, giacchè non c’è legame tra il singolo e il gruppo. L’origine greca della parola simbolo è sym – ballein, cioè mettere insieme. Il simbolo mette insieme poiché rappresenta la possibilità attraverso una parte ( uno spadaforese) di rappresentare il tutto (gli spadaforesi). Questa idea è stata distrutta dalla modernità attraverso il processo di singolarizzazione: per questo non ci può essere più rappresentanza. Ci siamo talmente impoveriti perché abbiamo affermato l’assurdità che ciascuno si auto garantisce e si autoriconosce: L’altro è scomparso. Senza vera alterità non c’è conflitto vero e senza conflitto vero non c’è trasformazione della realtà e creazione dello spazio simbolico condiviso. Le passioni sono state neutralizzate. La modernità è una rimozione degli affetti, delle passioni, delle paure, quindi , e proprio per questo è una neutralizzazione della creatività. Al posto della piazza, luogo simbolico per eccellenza della città che rimanda al mondo degli affetti, si sostituisce un'altra piazza, questa, telematica, che è una connessione di segni funzionali che attivano altri segni, ma che non mettono in campo nessuna vera corporeità e comportano una scissione tra il corpo appunto e la parola, lo sguardo. L’anonimia non fa altro che accentuare ulteriormente questo distacco, confermare se ce ne fosse bisogno qual è il portato culturale della modernità, la strenua difesa della propria egoistica sicurezza. Da che discende come corollario che urge una rioccupazione degli spazi del vissuto, un riconoscersi, un condividere, anche e proprio a partire da questo luogo virtuale.

11 settembre 2012

Chi siamo



Ti sei accorto di come tutto si sia richiuso in forme sempre più lontane dalla realtà, gli stessi linguaggi sono sempre più privi di radicamento, di contenuti, svuotati di ogni vero legame con l'esserci, tutto è funzionale ad un potere fine a se stesso, specchio del degrado che stiamo vivendo, dell'idiotizzazione delle masse perseguita pervicacemente, contributo più eclatante, alla rovina prossima ventura della nostra civiltà.

Mi chiedo: Come si può ricostruire da queste macerie, un presente condiviso.
Ed ancora: É possibile farlo?
bisognerà capire chi siamo,
ma soprattutto, cosa siamo diventati.
 
E' sotto gli occhi di tutti,
il livello di degenerazione della nostra classe dirigente,
sempre più abbarbicata agli scranni, dedita unicamente a trovare escamotage tecnici, per fottere e fottersi nuovamente, nulla di nuovo sotto il sole, solo profittare degli esigui spazi di consenso, per una sempre più marcata disaffezione della gente e costruirsi una rendita di posizione per farla pesare, quando ci sarà da spartirsi quel che resta di questa martoriata terra.
 
Ectoplasmi, ecco cosa sono...
cosa siamo....
mi specchio, in questi giorni,
nei manifesti che riempiono le strade
e vedo null'altro che vuoti a perdere,
vedo me stesso,
la mia inettitudine,
il mio atavico isolamento,
il mio essere "isola nell'isola",
correo di questo declino umano, sociale, spirituale.
In questo tempo presente,
non si elabora,
non si discute,
solo slogan,
simboli vuoti di un potere senza idee,
i nomi cambiano, senza nessun predicato,
niente....che riempia questo vuoto...
solo autoreferenzialità a go' go' di candidati ridotti a maschere,
artefatte da chili di cerone, dal colorante per capelli, in un finto giovanilismo da “La morte ti fa bella”, per affermare sempre e comunque il dominio della finzione sulla realtà, della materia sullo spirito; questa deriva è umanamente condivisa dai sodali, che per convenienza, creano le premesse per affermarsi sempre e comunque, ineluttabili come la morte del pensiero...masse informi di dominati come millepiedi striscianti gravitano nei palcoscenici maleodoranti di questa pantomima di realtà che è diventata la politica praticata.


Chi siamo:
1 - Pietro Barcellona, filosofo del diritto, Catanese, si staglia come voce fuori dal coro, da tanto tempo ormai, e non teme confronti, figlio di questa terra, sin dai tempi di “Politica e passione”, “Individuo e Comunità"".........etc etc, ha fornito strumenti di elaborazione concettuale che sono stati tanto più fondamentali quanto più sono stati passati sotto silenzio.
Il suo recente avvicinamento a Dio, ha dato ulteriore profondità e spessore alle sue argomentazioni, ne abbiamo un piccolo saggio nello scritto ” Se l'Europa senza Dio si consegna ai tecnici”, che si inserisce a pieno titolo nella tradizione di contributi che si pongono criticamente in contrasto con chi in amore di un non ben identificato progressismo, ritiene ciarpame tutto ciò che fa riferimento alle identità. (continua)


04 settembre 2012

Cambiare si può


Io non ho la concreta percezione
di quanto accade intorno a me,
è come se vivessi in una bolla,
un entità introflessa che mi permette solo di navigare a vista,
preso come sono dalle mie cose,
dalle mie pretestuose espressioni di vita,
tutti voi sapete com’è: battiamo tante strade/piste,
morsi dall’estro, partecipi di una corsa frenetica,
si scorrazza in lungo e in largo,
suonando il clacson,
peee peee,
per farci largo nella confusione,
per farci notare,
e ritagliarci un pezzetto di storia,
la nostra piccola storia, da raccontare, la sera.
Anche in questo momento, quanti di noi ,
mentre scrivo,
nell’apparente quiete della sera,
si stanno dando da fare,
e stanno schiacciando con veemenza,
il peee peee,
come estremo consuetudinario segno di un inabitudine al silenzio
diventata prassi del vivere sociale,
siamo totalmente immersi nel caos
assuefatti dall'assordante rumore di fondo
che si leva dal basso,
dalla pancia del mondo.

Abbiamo abbandonato,
il silenzio della meditazione
immagine del tutto pieno,
simbolo di una conoscenza introspettiva che si apre al mondo.

Cambiare si può, si deve...

Soffermiamoci sulle nostre traiettorie esistenziali,
scaviamo un solco profondo tra noi e la disattenzione
di cui è pieno il nostro quotidiano,
misuriamoci con l’esigenza sempre più pressante di capire cosa siamo diventati,
cosa ci attraversa, ci riempie, ci accoglie, ci condiziona, ci ama.
Stiamo vivendo una piega del tempo,
piena delle nostre contraddizioni,
stiamo permettendo al nulla di irretire la nostra realtà,
di condurla verso l’assenza di ogni prospettiva,
in una lacerazione del senso, frutto purtroppo, e ce lo dobbiamo dire, spesso di improvvisazione, banalissima, miserabile.. improvvisazione
non sanno, non sappiamo quello che facciamo, è storia...
siamo drammaticamente vuoti,
privi di conoscenza...
schiavi della banalità..
.. del male.

Come reagire a tutto questo..
essere presenti, innanzitutto..
e poeticamente abitare la terra e il cielo,
connotando lo spazio esistenziale
misurandolo, circoscrivendolo,
per dare forma compiuta all'esistenza.
Qui il discrimine, cher amis...tra il vivere e il morire...

03 settembre 2012

Il Mito Incapacitante


La contemporaneità è il luogo in cui trova realizzazione la “vita liquida” di cui ha parlato ampiamente il sociologo Zygmunt Bauman.
L’individuo, oggi, è inteso come un entità monodica, irrelata (sic) che vive il proprio “paysage d’action” all’interno di una rete metropolitana vissuta come spazio astratto, quasi come una configurazione mentale.
Ognuno vive un suo personale e distinto spazio materiale/immateriale
ritagliandoselo nella compagine urbana disseminata
e qui interagisce mediante connessioni casuali,
con i “p. d’a” degli altri abitanti con i quali si è in rapporto,
in un punto o in un altro
(uno vale l’altro).
Ciò chiaramente non sottende una dimensione topica dell’agire,
ma risponde ad un nesso in cui la temporalizzazione dello spazio
ha reso ineffettuale e privo di senso,
l’hic et nunc dell’abitare,
ha liquefatto le forme del convivere.
Penso a quanto mi ha detto l’altro giorno un mio amico
sul valore dello sguardo e della parola che gli si accompagna
e a come la piazza sia stata per la nostra civiltà il luogo eminente del confronto,
oggi per ritrovarla abbiamo bisogno di frugare negli scantinati della storia,
l’agorà del dialogo collettivo si trova lì,
sottomessa al mito incapacitante di non sentirsi mai parte di un tutto condiviso.
Ecco il problema.
Il nodo da sciogliere...