30 ottobre 2007

TRACCE


Ciò che resiste al tempo ci attrae certamente anche per il solo fatto che resiste a quel decadere di ogni cosa che il tempo trascina con sé; tuttavia cerchiamo e troviamo, nelle tracce del passato, nelle forme che esse hanno assunto e conservano, figure dotate di una loro compiutezza, di una loro finitezza che può anche non coincidere con una totale definizione di immagine, cerchiamo un senso, un significato, un destino, un volto, un esistere, un dato materiale e insieme vivente dotato di una unità, che è appunto il carattere primario della forma, in ragione del quale si può parlare di un senso della storia.

29 ottobre 2007

Sulla socializzazione necessaria




"Il tempo nostro è l'unico che abbiamo a disposizione e occorre occuparlo con determinazione e con dignità." (R. Pierantoni).
 

Sono convinto, con Pietro Barcellona,  che la socializzazione è il rimosso della modernità, è siccome la socializzazione è lo spazio entro cui è possibile costruire un ragionamento sulla politica, ergo la modernità tende a negare la politica e l’idea stessa di società. La vocazione autentica della modernità è spoliticizzare la società. Non si discute più della socializzazione, del legame sociale, del modo in cui siamo vincolati ( la Paideia era centrale per i Greci e per i Cristiani, non lo è per noi che vogliamo una scuola “ neutrale e pluralista”.) Con tutte le discrasie che ne conseguono. Come affermava Cornelius Castoriadis, “la politica democratica non è altro che la socializzazione consapevole, il tentativo di padroneggiare il processo nel quale, attraverso l’esperienza quotidiana, si realizza la socializzazione della psiche.” Ci si socializza parlando, discutendo, leggendo il giornale, stringendo le mani, andando al bar… Tutto ciò è in gran parte un accadere che noi viviamo come fatto naturale, come si trattasse di funzioni biologiche, ma in realtà è un processo storico-sociale dal quale è possibile prendere le distanze solo attraverso la riflessione. Questo processo storico – sociale viene negato nella modernità, che riconosce solo l’individuo senza legami. Bisogna però capire che i soli diritti soggettivi rendono vulnerabile chi li invoca, mentre il governo consapevole della socializzazione come sfera che appartiene all’esperienza di sé attraverso gli altri e con gli altri, pone limiti allo strapotere dei forti. La socializzazione è legata allo spazio simbolico e se non c’è spazio simbolico non ci può essere socializzazione. D’altronde lo spazio simbolico è veramente tale se rende presente qualcosa che è assente. L’idea di rappresentanza politica è stata costruita sulla base di riferimenti sociali e collettivi, ma oggi ( proprio perché viviamo una fase di disgregazione) la rappresentanza non funziona più e non c’è spazio simbolico, giacchè non c’è legame tra il singolo e il gruppo. L’origine greca della parola simbolo è sym – ballein, cioè mettere insieme. Il simbolo mette insieme poiché rappresenta la possibilità attraverso una parte ( uno spadaforese) di rappresentare il tutto (gli spadaforesi). Questa idea è stata distrutta dalla modernità attraverso il processo di singolarizzazione: per questo non ci può essere più rappresentanza. Ci siamo talmente impoveriti perché abbiamo affermato l’assurdità che ciascuno si auto garantisce e si autoriconosce: L’altro è scomparso. Senza vera alterità non c’è conflitto vero e senza conflitto vero non c’è trasformazione della realtà e creazione dello spazio simbolico condiviso. Le passioni sono state neutralizzate. La modernità è una rimozione degli affetti, delle passioni, delle paure, quindi , e proprio per questo è una neutralizzazione della creatività. Al posto della piazza, luogo simbolico per eccellenza della città che rimanda al mondo degli affetti, si sostituisce un'altra piazza, questa, telematica, che è una connessione di segni funzionali che attivano altri segni, ma che non mettono in campo nessuna vera corporeità e comportano una scissione tra il corpo appunto e la parola, lo sguardo. L’anonimia non fa altro che accentuare ulteriormente questo distacco, confermare se ce ne fosse bisogno qual è il portato culturale della modernità, la strenua difesa della propria egoistica sicurezza. Da che discende come corollario che urge una rioccupazione degli spazi del vissuto, un riconoscersi, un condividere, anche e proprio a partire da questo luogo virtuale.

26 ottobre 2007

FLEURS. (l'arte di MariaClara Mollica)

"Cosa c'è al mondo di più lontano dalla bellezza,
la ricerca dell'intensità" (S. Weil)
1 - FLEUR
Come fissare in immagini la lontana sensualità della terra,
florida terra piena,
quale il luogo, se non i fiori,
simboli di ctonia fecondità,
fugaci tracce del giardino di Eden,
in essi è adombrata la bellezza, sinuosa e lasciva,
di quell’eterea terra agita dal pulviscolo cosmico,
nell’atto, unico e plurimo del suo generarsi,
energia fluente dal pozzo della vita
pura immagine dell’attimo di eternità.
Come raccontare lo scivolare delle cose,
sabbia che scorre tra le dita,
e il volerle fermare in un singulto,
in un vibrare che dia il senso di quell’esistere.
E di più…
a chi è dato di lottare,
nell’estremo tentativo di radicarsi al suolo,
e sostare,
conficcati i piedi,
nella terra abbrunata,
stanziale ed immobile
a rimirar le cose, i travagli ,
simboli di fioritura.
A chi è dato di approssimarsi all’indicibile,
al mistero che manifesta il dramma tra terra e cielo,
e come rendere al vero l’informe materia
nell’atto creativo,
orbene,
MariaClara Mollica
nella sua ricerca espressiva
che non si ferma alla pittura ma comprende,
con eccellenti risultati, anche la scrittura,
racchiude la visione dell’eterno femminino,
in una sensualità che nel mezzo espressivo è decantata,
diventando linguaggio rinnovato da una possessione,
da un autocompiacimento ( baroquerie )
da un rispecchiamento contenuto ed esaltato
in ricercate forme di materica sensualità.
In un crescendo di saturazione
che promana dalle assolate marine di questa terra,
liberata la parola e il gesto,
nello stupore..nel dolore,
il segno si dissolve..
….in mille riverberi
raccolti, unici,
solari e fecondi…
…nello scoprire che non esiste nulla
se non l’inutile mercimonio di noi stessi…

24 ottobre 2007

RIUNIRE CIO' CHE E' SPARSO



“ Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella trasformazione che è la vita stessa della città. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta d’un ponte e di una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura….
Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di passato, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti.”
(M. Yourcenar, Memorie di Adriano)


Viviamo in una democrazia che ha perduto la sua legittimazione partecipativa senza aver guadagnato dall’altro lato in capacità decisionale, indispensabile oggi ancor più di ieri per governare società complesse e sofisticate.
Compito della Politica è non disattendere la questione di portare le bellezza nei luoghi che ne sono privi, in quanto essa è la risultante della tensione dialettica tra due opposti, sintesi etico-estetica dell’atto creativo dato dalla decisione.
Per far ciò, bisogna intessere con i gruppi sociali un rapporto di collaborazione - conflitto mirato al riconoscimento dei luoghi dello scambio, per ricostruire i topoi del dialogo, dove l’artificio in contrapposizione alla naturalità diventa essenza della cultura dell’uomo, specchio dell’evoluzione possibile del mondo.
Il decadimento attuale è frutto di un arretramento dell’uomo verso posizioni individualiste.
Tra i sistemi di pianificazione operanti nel mondo occidentale quello italiano è uno dei più burocratizzati e più lontani dal mondo della vita.
Il funzionamento degli uffici di piano è penosamente formalistico e chiuso;
la mentalità standard dei funzionari e dei professionisti è orientata sulle norme, sulle leggi e sulle procedure, piuttosto che sui problemi, sui destinatari e sui progetti.
AUMENTARE , NEL GOVERNO DELLA CITTA’, IL GRADO DI SOSTANTIVITA’, DI PIENEZZA DEMOCRATICA, DI SENSIBILITA’ AI PROBLEMI, DI ASCOLTO E DI PROSSIMITA’ AGLI ABITANTI E’ QUINDI UN OBIETTIVO CHE E’ POSSIBILE AVVICINARE IN MOLTI MODI.
Porsi in ascolto critico nell’analisi territoriale, per qualificare i risultati non come semplice sommatoria di quantità ma come virtuosa disamina di specificità qualitative.
L’ascolto critico costruisce il fabbisogno, cerca i bisogni taciuti, i desideri inespressi.
Gli abitanti non sono genericamente utenti, gente comune, atomi statistici…..
Sono un popolo strutturato, articolato, contraddittorio;

gli abitanti sono persone, di più sono volti, sguardi, portatori di passioni, ricchi di conoscenze, di saperi, gli abitanti vivono...
Bisogna fare politica facendo anima, corpo unico, affinchè le idee siano il frutto maturo di una conversione collettiva al bene comune.
Per fare progetto c'é bisogno di giocatori che nel territorio agonale sappiano filtrare mediante il senso critico le decisioni frutto delle tensioni conflittuali che fanno parte del gioco.
Solo a partire da un grado di progettualità situata, che implica l’insediamento di un progetto, ed in un certo senso l’unico progetto possibile di insediamento, riscoprire il Genius Loci, come sostrato sotterraneo, in continua ebollizione, humus vitale: signatura profonda.
Oggi che la cultura generale affiorante è il pensare metropolitano, che la cultura tecnologica dei media uniforma le intelligenze e le appiattisce su un non luogo mentale privo di radicamento, di terrestrità, si possono riannodare i fili della collettività soltanto in un orizzonte che ridefinisca, dando sostanza, le vere ragioni della comunità insediata.
Bisogna disseppellire il pensiero profondo, dalla coltre sovrastrutturale dei linguaggi della contemporaneità e rivivificare l’imprinting culturale ( lingua, tradizioni, saperi, tecniche, concezioni e sistemi di pensiero), ripristinando la centralità del locus e da lì ricominciare la conquista degli spazi della contemporaneità.

20 ottobre 2007

KOYAANISQATSI (vita in tumulto)

YouTube - Koyaanisqatsi - Cloudscape

Attraverso il dinamismo temporalmente modulato delle immagini,
raccontare ....
il doloroso senso di perdita di un pianeta che sta rischiando la vita,
il profondo senso mistico e quasi religioso delle manifestazioni della natura.

19 ottobre 2007

ABITARE



Abitare la terra, in senso classico, è desiderio di condividere con gli altri un luogo, nel tempo, attraverso la costruzione di un comune sentire, di una solidarietà collettiva.
La comunità si mantiene in vita se in essa esistono i luoghi dello scambio, in cui si rappresentano e si governano le istanze di vita dei singoli e dei gruppi, il senso di appartenenza ad una comunità si traduce in senso civico, in rispetto delle idee altrui, e così nel confronto, anche serrato, scendendo nell’agone politico, sentendosi parte integrante di qualcosa di condiviso, si perpetua l’immagine di un paese.
Grande è il peso delle responsabilità che derivano dal cercare di dare risposte di senso che valgano per l’oggi e per il domani. Fare politica nel senso pieno del termine è difficile, perché bisogna mediare tra le diverse istanze, avendo presente sempre qual è la rotta da seguire, il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini.
Non è facile oggi, abitare questa terra nel senso pieno del termine, nel corpo a corpo, nella tensione che è ricerca, aspirazione, siamo impreparati, siamo stati indotti a scambiare la finzione in realtà, abbiamo vissuto senza forti slanci, senza vere passioni, e questo ci ha atrofizzato, la “waste land”, la terra abbandonata, dagli inizi del novecento si staglia indolente all’orizzonte, quasi voglia far abortire sul nascere qualsiasi aspirazione al volo…e ciò lo aveva anticipato con grande capacità visionaria T.S.Eliot.
La capacità di avere visioni che non siano riferibili agli sterili atti contabili gestiti in maniera contabile, con vocabolario contabile dai novelli demiurghi dello sviluppo del territorio è andata perduta, per sempre, colpevole la sciagurata politica di abbandono premeditato della nostra tradizione culturale.
E’ sommamente difficile ma è necessario, oggi, ri-creare luoghi di decantazione, in cui plurime istanze sociali, storiche, antropiche, giorno per giorno trovino le condizioni elementari per poter essere espresse.
I binari della storia, lo ripeto, sono occupati da un treno in corsa chiamato pragmatismo tecnocratico, la ragion pratica ha involuto i linguaggi, aprendo scenari in cui la mentalità contabile, di cui sopra, si è sostituita alla politica intesa in senso classico, e ciò grazie al rivolgimento epocale derivante dal rinchiudersi dell’individuo nella sua nichilistica roccaforte, lontana dal rapporto con l’altro.
I luoghi del vivere vanno intesi come un’opera d’arte collettiva in cui i rapporti reciproci rappresentano il tutto pieno, il grumo su cui in unità e coesione ci troviamo immersi, gioca così un ruolo essenziale per definire uno spazio condiviso la civile, armoniosa, quotidiana convivenza tra gli esseri umani e le cose.
Lo spirito comunitario dovrebbe portare ad un corale I CARE, mi importa, perché tutto è concatenato ed ogni decisione presa seppur piccola ha ricadute enormi.

Una comunità come la nostra che si senta profondamente legata al suo territorio ed in esso radicata ha bisogno di ritrovarsi nei luoghi deputati all’incontro, ne ha bisogno per crescere di quel senso civico che promana dalla consapevolezza di essere parte integrante di un tutto armonico.
L’equilibrio, è riportare la bellezza nei luoghi, possibile solo grazie alla tenacia costruttiva e conservativa degli uomini, che ne costituiscono l’ossatura, è infatti la creatività umana che gioca un ruolo grandissimo nel potenziamento o nel depauperamento della natura dei luoghi.
Noi viviamo in un contesto sociale ed urbano degradato, l’invidia sociale frena lo sviluppo di questo paese, le strutture amministrative poste in essere per semplificare la vita del cittadino sono strutturate per complicarla, l’amministrazione italiana è la più burocratizzata dell’occidente, la più richiusa in se stessa, e soltanto da poco si sta cercando con fatica di alleggerirne il gravame.
Per l’oggi, sarebbe utile un programma di ricostruzione dei luoghi dello scambio a partire da una necessaria pacificazione sociale , che dia rinnovato vigore e slancio alla politica, il potersi guardare negli occhi gli uni con gli altri, e riconoscersi, sarebbe il primo passo verso una rinnovata sensibilità volta all’attenzione, alla cura…
un piccolo segno di buona volontà…

18 ottobre 2007

The Dimension Between


Fluide correnti.
Cogliere l’intima dinamica delle acque dello Stretto, attraversate a un tempo solo, da onde parallele ed onde trasversali, è scoprire che le relazioni essenziali si danno nell’intangibilità del “gioco perfetto” come “dimensione tra”…,
Mi piace pensare la Sicilia come dimensione tra….Terra di mezzo.
Credere che le tensioni più intime, esistano già, prima del rito del “porre oggetti” ….come nelle correnti..
Allo snodo di mari ecco che cresce, nei dialoghi tra il mare e la montagna un ineffabile saggezza. Qui si dipanano racconti diversi eppure identici, che nell’osmosi si fondono e dileguano; da una parte l’uno dall’altra parte l’altro, esattamente come se dalla parte dell’uno ci fosse l’altro e dalla parte dell’altro ci fosse l’uno… la loro saggezza posa lì, dove i loro incontri generano sottilissima ghiaia, ghiaia più grande, essenze vegetali ed ancora ad un altro livello, architettura.
I loro incontri sanno come generare.. e a noi cui tocca decidere, a noi la forza di farlo , a noi il corpo a corpo giocato fino alla tensione dell’unica costruzione possibile: quella intuita della sottilissima ghiaia, della ghiaia più grande, dell’essenze vegetali e dopo, proprio perché iniziamo a capire, dell’architettura nel suo territorio promesso.
(autore sconosciuto)

16 ottobre 2007

La Cura


“Un piccolo paese è un paese
che è stato grande e se ne ricorda”
(georges simenon)

Monforte.
Per me rappresenta la necessità di affermare una modalità di pensiero che si situa, in controtendenza rispetto ad un pensiero unico, indisponibile a scendere a patti con i luoghi, un pensiero che si sovrappone e azzera ogni parvenza di continuità nella storia.
Cosa vuol dire, oggi, vivere entro le spesse mura della vita che scorre ancora lenta;
E‘ rubare attimi al tempo tiranno della contemporaneità, attimi di fioritura, di una densità esistenziale ineguagliabile.
E’ trovare nei luoghi, nella roccia dell’Immacolata ad esempio, il punto di giunzione tra reale e immaginario, e per ciò stesso, una vedetta protesa sulle distese infinite, tra cielo, terra e mare.
“ sentinella, oh là, che vedi …”
È nascondere attimi all’oblio, alla dimenticanza della continuità tra passato e futuro, nel presente.
È essere simbiotici al luogo-volto che rimanda ad una fisiognomica del paesaggio, fatta di contorni definiti, di passaggi temporali, di interstizi liminali , carichi di vissuto, nella manifesta possibilità di rigenerare le cose, poeticamente.
È cancellare le forme del soggettivismo tecno-estetico, calato dall’alto a stuprare la materia urbica, tentando di ricostruire il con-senso, a partire dal riconoscimento del potere trasformante di chi abita i luoghi.
È leggere le cose come manifestazioni dei luoghi, che dai luoghi traggono la loro energia, ricomponendoli, senza farne astrazione ma mantenendoli vivi, attraverso un pensiero inclusivo, capace di ritornare ad un tempo dell’uomo, un tempo biologico, scandito dal battito del cuore.
Un tempo vivo, non condizionato dai paradigmi dello sviluppo tout court, corale, volto ad inaugurare un processo di ricoscientizzazione ecologica, una rinnovata attenzione all’oikos, al fare anima.
Monforte, come frazione-mondo, rappresenta l’urgenza di ritornare alla cura dei luoghi, reimparando un gusto dell’operare nel nascondimento, in compagnia “di un pensiero involontario e non progettante, non il risultato frutto dello scopo e della volontà, ma di un pensiero necessario, unico, che viene su da solo, “ non chiamato, risposta ad una consonanza dei sensi, aperti allo stupore.
Il dono.
E’ un vezzo dello scrivente, non rimanere ancorato entro i ristretti ambiti di pertinenza disciplinare dell’amata architettura, che gli si confanno, ma cabotare su plaghe letterarie straniere, a voler nominare i luoghi, novello geografo, per definirli.
Nello scrigno di pietre e vita chiamato Monforte, l’opera dello sguardo è ancora viva, facciamo che non si perda, perché essa è leggera, è fatta di aurea materia, di sguardi che si incrociano e comunicano, dentro vie strette ed anguste.
Il significato del racconto è riposto nella necessità di ristabilire un nesso esistenziale tra le cose.
Il luogo.
Porta Terra, nei pressi della porta urbica, il campanile di S. Agata mima una sentinella che attende il vociare dei bambini, sempre più pochi, a rompere il silenzio.
Quella mattina, era tutto un aprirsi d’usci di case che ritmavano il nostro inerpicarci lungo le vie, sentivo me stesso, Caterina, le sue allieve e le case vicine, uniti, nell’integralità di una comunione spirituale; in certe occasioni preda d’una particolare disposizione d’animo, non si è astrattamente pieni delle proprie soggettive facoltà raziocinanti, ma si partecipa empateticamente ad un evento, con tutti i sensi in ascolto che vibrano, totalmente ricettivi, in un moto di accellerazione emotiva che si nutre dell’intorno e ne è nutrito. Eravamo assorbiti dal luogo, il nostro argomentare fluiva libero entro gli ambiti gerarchizzati del borgo, fermandosi, per non transvolare sul limitare della linea di demarcazione dei tetti, la mitica linea di seconda natura, il luogo caro agli dei pagani, le nostre frasi compendiavano le immagini, i suoni, gli odori, che ci arrivavano dall’alto, dal basso, da ogni dove, in un crescendo percettivo, preludio di sorprese future.
Dai balconi, si squadernava, un tempo, il paese delle coperte, delle lenzuola dei letti disfatti da riassettare, a celebrare il nuovo giorno mischiando la freschezza del mattino alla pesante aria notturna, l’afrore dei corpi stagnante, all’interno delle stanze della vita, che si bagna di nuova linfa.
Questo passato, dal respiro profondo delle pietre, ci ammaliava.
Il corpo nel corpo.
d’un tratto dal corpo maturo d’una donna nell’aria si spanse, la grazia.
C’è un disegno sotteso del mondo che si esplica nell’intreccio e si concretizza nella matrice decorativa delle cose, nell’organico dipanarsi dei racconti di pietra, nella piena e vitalistica coscienza del proprio essere terra e soffio, o soffio di terra.
Come definire altrimenti, quel meccanismo virtuoso, legato all’imponderabilità dell’accadere che prepara e origina gli eventi nel tempo, l'agire sposò la sua propria forma e una donna, questa donna, si diede a noi come manifestazione di un umanità possibile, come sapienza profondamente legata ai cicli naturali dell’esistenza; essa e solo essa, in un anfratto di spazio tempo, riscattava con un gesto di libera espressione dello spirito il suo mondo, e, lo faceva, semplicemente, volgendo gli occhi verso noi, ricolma del pudore – candore pieno di poesia della mano piena della poesia dei fiori di campo appena raccolti, freschi di terra, come a dire, con una naturalezza disarmante, eccoli qui, dall’eternità, vi attendevano, erano pronti ad essere donati.
Penso a come quest’impercettibile sequenza nel titanismo delle imprese della contemporaneità sembri piccola cosa, ma rivestiamola del retroterra culturale da cui proviene e ci accorgeremo di quanto eravamo migliori, come uomini, più brutti, più sporchi, ma sani, ricchi dentro, nella sua trasparente semplicità quel fiore è dunque un ponte, una colleganza , un tentativo di recuperare le distanze di avvicinare due rive, sempre più lontane..
Attraverso l’integrale rappresentazione dello spirito oblativo della donna viene esaltato, un amorevole gesto di accoglienza, in tal senso, è Monforte che trascendendo la sua finitezza, si sostanzia nel seno di questa madre prodiga, e nel monte dell’Immacolata metafora della grande madre, Monforte si riscatta dall’oblio, dalla dimenticanza che il tempo presente le riserva.
Le nostre radici ci chiamano, al lavoro del campo, ognuno nel suo, lungi dall’idealizzarlo, esso va ricoltivato, bisogna andare a scoprire la nobile arte di Columella, perché in essa è riposto il senso d’uno splendore antico, quel corale mutuarsi delle stagioni della vita in un divenire regolato dalla conoscenza, costituente la comune identità in cui ci si riconosce e si è riconosciuti.
Questi fiori, propongo di ripiantarli in seno alla terra demarcata, varcata che si sia porta terra, a rinnovare il rito fecondante, contrastando l’arretramento dell’uomo verso il nulla della propria solitudine orgogliosa, nell’ incapacità di donare e di donarsi.
Questi fiori saranno preghiera rivolta al cielo, carezzevole cielo che li ha visti nascere e donare a riempire il vuoto delle nostre distanze, infinite, radicali.