30 novembre 2007

IMMERSIONI


Vivo il profondo,
estasiato,
immergermi nella dominanza delle cose.

Vivo il tempo e lo spazio,
a mò di cane,
attraverso il rilascio di tracce di me
cerco di marcarne i confini.

Aspiro a scalare le vette.

28 novembre 2007

COLERE


La parola "cultura" ha una radice semantica rivelatrice, essa deriva dal latino colere, che lega l'abitare al coltivare, all'aver cura, al venerare e all'abbellire, analogamente, troviamo la stessa radice nel termine tedesco Bauen, che indica nel suo spettro semantico la profonda comunione del custodire e coltivare il campo, dell'erigere edifici, dell'aver cura, e dunque, in ultima istanza, dell'essere.
A tal proposito vi consiglio caldamente di leggere il  saggio "Costruire, abitare, pensare" di M. Heidegger.
Abitare un luogo vuol dire dunque prendersene cura attraverso i modi del costruire, del coltivare, del perpetuare i tratti identificanti del suo darsi, ed anche onorandone il suo carattere sacro, il suo genius loci, il che significa riconoscere che in ogni luogo c'è altro oltre all'uomo, e di più rispetto alle dimensioni visibili, la cui presenza e persistenza richiede rispetto, responsabilità, Amore.
Se ogni comunità o cultura deve poter mantenere le sue caratteristiche attraverso un senso di appartenenza ai luoghi, occorre contemplare altri valori e altri criteri oltre a quello economico, che assunto nella sua dimensione assoluta, agisce come riduttore delle molteplicità semantiche producendo scompensi, disagi ed anche passatemi il termine ma è proprio così, diseconomie.

27 novembre 2007

I COSTRUTTORI


Longfellow:
"Tutti siamo architetti del Fato,
lavorando su queste mura del Tempo;
Alcuni con gravosi e grandi atti,
Altri con gli ornamenti della rima.
Niente è inutile, o infimo;
Ogni cosa nel suo luogo è la migliore,
e quello che sembra ozioso
rafforza e sorregge il resto.
Perché la struttura che noi eleviamo,
di Tempo e di materia è colmata;
I nostri oggi e i nostri ieri
sono i blocchi coi quali noi costruiamo
veramente forma e stile;
Non lasciare di mezzo che s'intravedano delle fessure;
non pensare, poiché nessuno le vede,
che tali cose rimarranno invisibili.
Nei più lontani giorni dell'Arte,
I costruttori batterono con la più grande cura
ogni parte minuta e non vista;
perché gli Dei osservano ovunque.
Ci lascino fare bene il nostro lavoro,
entrambi, l'invisibile ed il visibile;
Fare la casa, dove gli Dei possano indulgere,
Bella, intera e pulita.
Tuttora le nostre vite sono incomplete,
stando in piedi su queste mura di Tempo,
su scalinate rotte, dove i piedi
inciampano cercando di salire.
Costruisci l'oggi, dunque, forte e sicuro,
con una solida ed ampia base;
E salendo, sicuro
il domani troverà il suo posto.
Così soltanto raggiungeremo
quelle torri, da cui l'occhio
osserva il mondo come un'enorme pianura,
ed un illimitato distendersi di cielo".

25 novembre 2007

SONO ACQUA ( a poem by MariaClara Mollica)

Con questo testo inizia il tempo delle ContaminAzioni,
devote all'arte situazionista.
Si cercherà di legare il virtuale al reale,
da questo luogo, in altri luoghi,
come emanazioni necessarie si dipartiranno semi d'imagerie,
frutti di dispersione.....
a voi il compito di custodirli.


M Stivina, Hvar agosto 2004
Nuoto.
Acque straniere mi avvolgono leziose
disperdendo i miei lunghi e castani capelli.
Molle,
come una libellula fra le onde capitolata,
l’inconsistenza delle mie membra ascolto
e osservo il Silenzio.
A riva,
assi e pietre e rami d’ulivo
ispirato qualcuno raccolse.
Il Mare li aveva un giorno portati
generoso ma disilluso al contempo;
ora lì stanno, colorati e dipinti.
Dipinte le pietre,
trasparente rimane solo l’acqua,
i pesci fra le rocce e i fondali d’argento
argento anch’essi mi appaiono.
E d’intorno a me danzano.
Rinasco dall’acqua, svaniti i fondali
- disincantante allucinazione -
e i relitti marini in terrazza evanescente
magicamente si tramutano,
si issano sulle travi tendaggi purpurei,
fatati sedili luminosi di lampade
da chissà dove venute.
Viola e fuggevole Tramonto,
repentino ci lascia solo rocce chiare
laddove si sciolgono le mie membra
e in acqua si risolvono i miei lunghi capelli,
e castani.
Sono acqua.
Le rocce la mia liberatoria fuga.
Espiazione lenta ma sicura rivalsa,
non voglio ali. Niente ali.
Bianche vele in lontananza non mi sono conforto alcuno;
solo l’instabile molo corroso dai Mari
mi indica sommariamente la Terra.
Vorrei che per nessuno stanotte fosse riparo.

22 novembre 2007

Storie da nessun luogo


La contemporaneità è il luogo in cui trova realizzazione la “vita liquida” di cui ha parlato in un suo famoso libro il sociologo Zygmunt Bauman.
L’individuo, oggi, è inteso come un entità monodica, irrelata che vive il proprio “paysage d’action” all’interno di una rete metropolitana vissuta come spazio astratto, quasi come una configurazione mentale.
Ognuno vive un suo personale e distinto spazio materiale,
ritagliandoselo nella compagine urbana disseminata
e qui interagisce mediante connessioni casuali,
con i “p. d’a” degli altri abitanti con i quali si è in rapporto,
in un punto o in un altro
(uno vale l’altro).
Ciò chiaramente non sottende una dimensione topica dell’agire,
ma risponde ad un nesso in cui la temporalizzazione dello spazio
ha reso ineffettuale e privo di senso,
l’hic et nunc dell’abitare,
ha liquefatto le forme del convivere.
Penso a quanto mi ha detto l’altro giorno un mio amico
sul valore dello sguardo e della parola che gli si accompagna
e a come la piazza sia stata per la nostra civiltà il luogo eminente del confronto,
oggi per ritrovarla abbiamo bisogno di frugare negli scantinati della storia,
l’agorà del dialogo collettivo si trova lì,
sottomessa al mito incapacitante di non sentirsi mai parte di un tutto condiviso.
Ecco il problema.
Il nodo da sciogliere...

21 novembre 2007

A FRAGILE WORLD


Penso a come il maniacale correre dell’oggi,
sia frutto di un delirio di onnipotenza.
Se ci si fermasse a guardare la fragilità della vita,
il mondo diventerebbe nient’altro che un palloncino colorato
che sale nel cielo e vaga leggero in balia dei moti d’aria,
solo la mano di un bambino lo potrà salvare.

20 novembre 2007

TRANSITI RILKIANI


"Gli amanti potrebbero,

se sapessero come,

nell’aria della notte dire meraviglie.

Perché pare che tutto ci voglia nascondere.

Vedi, gli alberi sono,

le case che abitiamo reggono.

Noi soli passiamo via da tutto,

aria che si cambia.

E tutto cospira a tacere di noi,

un po’ come si tace un’onta,

forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile."

19 novembre 2007

IL RAMO DI SALISBURGO


Stendhal, in “de l’amour”, parla di una cristallizzazione amorosa, e fornisce l’immagine di un ramo di legno secco che si mette nelle miniere di salgemma dei dintorni di Salisburgo e attorno al quale si formano cristalli di sale.
A partire da queste concrezioni luminose che sono il frutto di un innamoramento raccontare di paesi, di città e di uomini.
Tutto è generato dal luogo, dove ci si ritrova, la sera, stanchi del lavoro già fatto,
a raccontare storie, forse il valore di un esistenza.
Cercare di ricostruire questo luogo simbolico, contraddicendo la superficialità del presente,
può costituire un avamposto per rinominare le cose,
un cristallo d'amor sottile.
Il tutto filtrato attraverso uno sguardo che va al di là,
rivolto verso l’oltre,
attento al rivolgere delle stagioni...
delle passioni.

18 novembre 2007

GENIUS LOCI

Scorrimi dentro.
In attesa
di un isola remota,
di una luna affacciata
sul morire del giorno

17 novembre 2007

TABULA SMARAGDINA (IX Secolo)


Verità senza menzogna, certa, assolutamente vera.
Ciò che è in basso è come ciò che è in alto
e ciò che è in alto è come ciò che è in basso,
per compiere
I miracoli della realtà che è uno.
E come tutte le cose ebbero origine dall’uno, nel respiro dell’uno,
così tutte le cose nascono da questa realtà unica, se si può toccarla.
Suo padre è il sole, sua madre è la Luna,
il Vento l’ha portata nel suo grembo,
la Terra è sua nutrice
E’ all’origine di tutte le virtù segrete di questo mondo.
La sua potenza è completa se arriva alla terra.
Separerai la terra dal fuoco, ciò che è sottile da ciò che è denso,
dolcemente e ingegnosamente.
Sale dalla terra in cielo,
e poi ridiscende sulla terra, e riceve la forza
Di ciò che è in alto e di ciò che è in basso.
Così otterrai la gloria di tutto il mondo;
perciò si allontanerà da te ogni oscurità.
In essa risiede la forza possente di tutto ciò che è forte:
vince tutto ciò che è sottile, penetra tutto ciò che è solido.
Così fu creato il mondo.
Da essa si otterranno in questo modo miracoli
Perciò sono stato chiamato Ermete tre volte grande,
poiché possiedo le tre parti della filosofia di tutto il mondo.
Questo è tutto ciò che avevo da dire sull’opera del Sole.

15 novembre 2007

URBEM FECISTI QUOD PRIUS ORBIT ERAT



Hai fatto una città di quello che prima era un mondo.
Rutilio Claudio Damaziano, De reditu suo.

  1. C’è un concetto che corrompe e altera tutti gli altri. Non parlo del Male, il cui limitato impero è l’Etica; parlo dell’Infinito” così J.L. Borges introduce la sua breve biografia dell’Infinito in – “Otras inquisiciones”. Ma anche altrove traspare la sua concezione dell’infinito, spesso dissimulato in idee ad esso collegate, come assoluto male metafisico, operante nel cosmo come seme di disordine ed assurdità. Non c’è nulla di più pericoloso della perdita del limite e della misura: l’errore dell’infinito è la perdita del valore contenuto nella relativa perfezione di ciò che è concretamente determinato e formalmente compiuto, ed induce perciò a smarrirsi nel nulla o in un labirinto senza via d’uscita.
    Non esisterebbe storia né evoluzione se non esistesse accanto al limite, un principio di natura opposta che ostacoli la tendenza di ogni oggetto a permanere rigidamente fissato nei contorni della sua esistenza impostagli dal principio del limite. Tale principio è appunto l’illimitato.
    In una realtà regolata dai confini il vero infinito non può dunque manifestarsi se non contratto nella forma finita
    La più esplicita dichiarazione della bipolarità fondamentale che regola il movimento del cosmo, espressa in termini di finito ed indefinito, venne dai pitagorici.
    .. Ippolito scrive che il caldeo Zarata disse a Pitagora come “due siano fin dal principio le cause delle cose che sono, il padre e la madre: e che il padre è la luce, la madre la tenebra: e che della luce son parti il caldo, il secco, il leggero, il veloce, della tenebra, il freddo, l’umido, il pesante, il lento; e che da questi, femmina e maschio, è composto il cosmo”
    Goethe nelle sue ricerche naturali in epoca moderna avrebbe implicitamente riscoperto con la stessa densità di intuizione quanto asserito dai pitagorici.
    Egli usò il criterio della polarità e dell’oscillazione ritmica come metodi primari d’indagine per una fondamentale ripartizione dei fenomeni. Vide nell’avvicendarsi di sistole e diastole l’essenza di ogni sviluppo organico, caso tipico la crescita di una pianta – essa consiste infatti in un continuo alternarsi di espansioni (illimitate) e contrazioni (limitanti).
    Goethe seppe fondere interessi scientifici e aspirazioni artistiche, assegnando alla poesia il potere di evocare simbolicamente quelle forze madri del cosmo.
    In epoca moderna Spinosa, Hegel e Leopardi colsero la negatività dell’infinito potenziale rapportandolo al desiderio e all’immaginazione.
    Leopardi scrisse nello Zibaldone che il più riposto motivo della tendenza dell’animo umano all’illimitato risiede principalmente nel desiderio del piacere e nel sottrarsi di quest’ultimo a una qualsiasi definitiva saturazione. La natura più profonda del desiderio è la sua proiezione su un oggetto assoluto ed inesistente , non identificabile con alcun piacere definito, ed è perciò che una tal natura porta con sé materialmente l’infinità, perché ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere, la cui estensione è indeterminata, e l’anima amando sostanzialmente il piacere abbraccia tutta l’estensione immaginabile di questo sentimento, senza poterla nemmeno concepire, perché non si può formare idea chiara di una cosa ch’ella desidera illimitata."
    Il senso positivo del limite e la forza dissolvente dell’illimitato furono ancora intuiti e sentiti in ogni loro aspetto da R.Musil, il valore del confine e della misura è descritto in - "Der mann ohne eigenschaften" – “onestà, continenza, cavalleria, musica, la morale, la poesia, la forma, il divieto, tutto ciò non ha altro scopo più profondo che dare alla vita una forma limitata e precisa”.
    Una morale che sia dotata di reale potere di accrescimento e non sia soggetta a periodiche sconfitte dovrebbe fondarsi non su un ordinamento stabilito per sempre bensì sull’ininterrotta attività di una fantasia creatrice, non regolata dall’arbitrio, capace di plasmare gli svariati suggerimenti che scaturiscono dall’infinito complesso delle possibilità di vivere.

14 novembre 2007

FRAGILE


"Dovremmo imparare
a costruire una società
dove «non si chieda di essere "forti",
ma in cui sia possibile,
non essere né forti né deboli,
e accettare insieme...
..la fragilità della vita»."

13 novembre 2007

I PAESAGGI DELL'ANIMA


A Luciano pictor maximus.
Ripenso ad una sera di tanti anni fa, mentre eravamo intenti a rubare attimi al tempo, solidali e indifferenti ai richiami del mondo, immersi in quell’aria calda ed accogliente dell’estate “acese”, fermi ed immobili, osservatori compiaciuti d’una dispersione di senso.
E mentre accarezzavamo l'ombra, una possibilità ci si offriva, d’un tratto, di intravedere i paesaggi dell’anima, in quell’acquietarsi serale delle emozioni, frutto di quell’apparente fissazione dell’essere, d’improvviso un accensione dello spirito, ci rese partecipi di un evento, contaminati e dispersi, in un attimo, ebbimo la coscienza di essere forme vibranti di luce e nello stesso tempo l’esatta cognizione del lento inesorabile trans/correre delle cose e della nostra inclinazione al nulla.
Un attimo rubato, infranto nell’eco lontana d’una notte d’estate, sempre presente nel declinare delle nostre storie.
Ecco, L’inizio del cammino artistico di Luciano Vadalà.
E’ quel sentire la liquida presenza dell’ombra, il tocco di entropia che contamina le cose, il pathos che ne deriva.
Le stanze dell’artista sono i laboratori dell’anima.
In quelle stanze si sente sfiorire l’essenza spirituale del mondo, prima raccolta, e poi espunta dal corpo sacrificale, essa si libra leggera ed erra nel pulviscolo, nel colaticcio cromatico e lucescente, materia d’una rinascita di codici scritturali antichi, istos; In esse si descrive l’aerea alchimia del corpo e di presso le segrete corrispondenze dell’anima.
E come se l’aria fosse investita da un fremito eterno, dall’appagato ed appagante esserci, nella penombra calda ed accogliente della creazione.
Respiro del mondo, calmo e piatto, geometrico, artefatto, soggettivo, fascinazione dell’omogeneità del corpo con l’intero creato.
In esse la storia dell’uomo artista si ricompone per frammenti retrospettivi da Piero, a Michelangelo, per arrivare a Schiele, a Bacon a Vespignani, in un percorso a ritroso a cavare le forme.
E d’improvviso il silenzio a rinnegare le costruzioni per memoria, secondo definiti canoni pittorici, per raggiungere l’arte come libera espressione dello spirito che si posa sulle cose, che si delinea nel suo farsi, libera di abbandonarsi alla poesia degli sguardi, delle presenze. la realtà erompe ed imprime alle cose il suo ritmo, e il nostro vi si lascia trasportare, senza imbrigliamenti, appagato dalla fusione empatetica che attraverso le cose raccontate disvela una prossimità con i paesaggi dell’anima appunto…
La grana della materia pittorica esaltata dal contatto vivificante, bagna di sé il mondo, e imprime al desiderio, un movimento ellittico, obliquo, permanentemente orientato verso il nulla.
Estrema ratio d’una sicilianità vissuta come segregazione in un limbo di non esistenza, frutto di una scelta segnata dall’ accettazione dei ritmi indolenti di questo anfratto di spazio tempo, in cui le scelte pesano come macigni e il cuore mai riposa ma tesse la tela di una perdizione procrastinata e sempre ricomposta, accomodata, una via di fuga apparente messa lì come alibi di vita e poi sempre occlusa, a causa del crescendo ingombrante della varia umanità dell’isola, dove tutto è ristagno e le idee sostano sul limitare della vita senza mai esporsi, segno d’indistinzione o genesi dell’obliquo?
I paesaggi descritti non fermentano dì inutili prolissità, non raccontano d’un mondo retorico e pregno di accadimenti virulenti, in essi il caldo, l’afa, il sonno della ragione vengono sedimentati, circoscritti.
Desensibilizzati, facenti parte di un orchestrazione che prelude al silenzio.
Il furor è fissato, nell’attimo ne prima ne dopo del suo dissolversi in qualcosa che è prossimo al destarsi dei sensi, della manifestazione vitale d’un estasi compressa, in un mondo incantato che ci guarda ammiccante e ci chiede complicità; e in tutto sovrabbondante spira l’aura tersa e pesante del pomeridiano acquietarsi delle tensioni.
In una quasi sospensione del senso e del giudizio che fa posto al libero corso ……..del pensiero, ricamo di filigrana antica che maturato nella canicola diurna ingombra di sé, l’intero creato e fa da contrappunto alla grazia segreta e temporale di quegli smisurati attimi dello sfibrarsi dei corpi in una consustanzialità materica che è essenza dello spazio pittorico, materia signata, danza immobile di corpi irradianti luce riflessa, perché riflessi dell’occhio numinoso dell’artista, che si posa, e salva. Grandezza dell’arte. Fffftlack….Ecco , ritorna, come signatura profonda, dalle stanze, da quel calore vitale delle forme de / ri - composte, attaccate all’esistenza, come alle pareti i lacerti di organica residualità, nella penombra oscena di filamenti corporei, un eccesso di esistenza come multiforme volontà di espressione insita nelle cose.
Lo spazio si solidifica dinamicamente negli scambi cromatici, tra figura e sfondo, nelle densità timbriche, nei tenui contrasti luminosi, composto di materia uranica si posa ridondante sulle forme ricomposte in attesa, sospese in questo fra mondo, viluppo d’amniotica preesistenza della forme.
I corpi prepotentemente geometrici fanno da contrappunto all’indistinzione dei non luoghi, frutto di rarefatta memoria, delineano la necessità di uno spazio misurabile a partire dal loro sentire.
L’espressione artistica di Luciano come attimo rubato al divenire sostanzia lo scambio simbolico tra corpo e spirito. Le stanze dell’anima racchiudono segreti, sono simulacri di un identità postuma, fuggita dall’agone della contemporaneità, persa negli anfratti dello spazio tempo e per ciò stesso relegata in un mondo unidirezionale, concentrato sulla verticalità, che guarda al di là dei facili compromessi derivanti dall’adesione al tempo.
Tutto sorge a partire da una sospensione del tempo, mentre la natura immobile attende il rigenerante vento di terra, che vivifica le stanze, il mare, di fuori, anch'esso immobile attende.
La creazione attende una nuova nascita……
Il fruscio leggero della tecnologia d’uso comune, filtra le cose mediandole con flash luminosi……su tutto debordante ed assoluta si staglia la presenza dell’artifex.
Ecco, Il fruscio sensibile del pennello scivola sulla tela è l’incanto della creazione che per un tempo incomparabile, eccedenza di realtà, diventa misura e quintessenza della materia, e comincia a profondere a partire da quel tutto condizionato ed estremo, radicalità dell’agire, la propria indicibile sete di vita, ed è qui, si,
nell’attimo e nella penombra, fragile e contaminata, come opposto rafforzativo, che si staglia, la quieta presenza della morte.
E poco più in là, L’anima mundi.

08 novembre 2007

IL CORPO


"Qualche anno fa, visitando, o meglio frugando la chiesa di Notre dame (….), trovai in un ripostiglio oscuro di una delle torri, questa parola incisa sul muro: ANATKH (…) L’uomo che scrisse quella parola su quel muro è stato cancellato, già da molti secoli, dalle generazioni degli uomini, la parola, a sua volta, è stata cancellata dal muro della chiesa, e anche la chiesa, forse, sarà presto cancellata dalla faccia della terra."
Il trascorrere del tempo e la ricerca di fissare la propria identità attraverso un segno, una traccia sono gli oggetti di questa riflessione di Victor Hugo: ogni frammento diventa racconto perché narrare storie è sempre delimitare il mondo, fissare il movimento spontaneo delle cose, ossia architettura:
Ciò di cui gode - la gente,- credo, in una storia, è di essere rassicurata, col rispecchiarsi in essa, sul fatto che quanto sta vivendo è una vita, che questo pulviscolo di indefiniti trasalimenti, di inafferrabili tropismi, tutti questi sguardi incompiuti, questi movimenti non conclusi, queste parole effimere che non le appartengono e che si sono affollate sulle sue labbra, tutta questa anonima molteplicità entro cui si dissolve la durata di una giornata che è trascorsa, simile a tutte le altre con le quali si fonde, prima di aprire il libro che ci si è proposti di leggere la sera; che tutto ciò, come nel libro, in un qualche giorno, troverà la sua unità e costituirà, anche se non ha senso, tuttavia una vita: una vita che si racconta, un destino.
È la malattia del vivere che riporta l’uomo a considerare il corpo e quanto lo circonda come parte di un disegno che si dipana a partire dal compimento della storia, della sua storia: disegno che supera i ristretti ambiti della percezione per diventare Altro, l’incognito. L’esistere si perde così nel rammemorare, per ritornarne vivificato.

07 novembre 2007

BISOGNA ESSERE LENTI


Bisogna essere lenti.
Bisogna imparare a star da sé e aspettare in silenzio,
ogni tanto sapere di avere in tasca soltanto le mani.
Andare lenti è incontrare cani senza travolgerli,
è dare i nomi agli alberi, agli angoli, ai pali della luce,
è trovare una panchina,
è portarsi dentro i propri pensieri lasciandoli affiorare a seconda della strada,
bolle che salgono a galla e che quando son forti scoppiano e vanno a confondersi con il cielo.
E’ suscitare un pensiero involontario e non progettante,
non il risultato dello scopo e della volontà,
ma il pensiero necessario, quello che viene su da solo, da un accordo tra mente e mondo.
Andare lenti è il desiderio attraverso gli sguardi.
Il pensiero lento offrirà ripari ai profughi del pensiero veloce,
quando la macchina inizierà a tremare sempre di più
e nessun sapere riuscirà a soffocare il tremito.
Il pensiero lento è la più antica costruzione antisismica. (da Pensiero Meridiano)

06 novembre 2007

COSA E' RIMASTO...


1 -Cosa è rimasto del leggero concederti, alla curiosità dei tuoi simili, nel palcoscenico della vita, del naturale scoprirti, animale sociale, nato per stare con,
nel sempre-fluire delle storie lungo il fiume Umanità.
Quali le eredità, oggi, le occasioni di vita, dono della storia.
Cosa permane, di tutto il fervore che passa sotto il cielo! .
Sotto questo cielo piombo, il grande respiro della storia s’è perso,
si vaga indifferenti, dietro il paravento del “ proprio particulare”,
dell’egoismo che non fa vedere oltre il palmo del naso.
“Ciechi tra ciechi.”
Contenti delle mollichine che cadono dalla mensa dei potenti - .
Dov’è la condivisione? Tutto è appiattito, quotidiano tran tran, routine che uccide.
Manca il sogno, manca lo stupore davanti alle meraviglie della vita.
Manca la domanda, unica, decisiva.. Per che cosa val la pena vivere !!

2 -Sicilia, sezione spazio-temporale nella quale viviamo,
sempre pronti ad ossequiarci vicendevolmente
con il fatidico, mellifluo “tutto a posto ?”,
quando di veramente “a posto” non c’è niente,
anzi tutto è schiacciato, corroso da un apatia indolente,
grasso che cola sugli ingranaggi logori di questa realtà piccolo borghese,
La Sicilia…. è malata.
non c’è più vita sociale, né la si cerca,
non ci si entusiasma più di nulla,
il sostrato culturale è inesistente
da ciò discende l’impossibilità a costruire futuro,
mancano le idee, mancano gli uomini,
assuefatti, come sono, dal Bengodi multimediale,
non luogo mentale che misconosce le identità particolari,
azzerandole in una tecno-pappa onnipervasiva, sinonimo di alienazione.

3 -Nonostante non ci sia più l’uomo, nè la sua storia
nonostante la scomparsa della Polis,
bisogna ancora sperare che emerga la sete di vita
per occupare nuovamente i luoghi topici della città,
abbandonati da lungo tempo,
i luoghi del dialogo, della solidarietà.
Se di speranza, si può e si deve parlare,
essa ha da essere costruita giorno per giorno.
A tutti gli uomini, cui questo tempo ostile e tiranno,
non ha ucciso la fantasia, la voglia di fare comunità,
è rivolto l’invito a iniziare a collaborare
alla ricostruzione dell’unica, nostra,
casa-comune……..
la terra.

05 novembre 2007

IL VIAGGIO


Descrivo una condizione, per prefigurare uno status simbolico, il senso comune di un approccio cinestetico che è blandamente rappresentativo della nostra condizione di uomini contemporanei.
Parto da casa, abito a Spadafora, sono le 9,30 - Salgo in macchina dopo circa due ore arrivo all’aeroporto di Catania, sosto in aeroporto, prendo l’aereo per Bologna alle ore 12,30, tapis roulant e poi subito fuori a prendere un taxi che mi porta a S. Leo, cittadella medievale, in cui si concretizza l’idea di spazio verticale intensivo, lo psichismo del paesaggio terrestre qui trova la sua dimensione ascensionale, il suo radicamento spirituale.
Mi rigenero.
Ho percorso circa 900 Km. stando fermo, immobile, leggendo, divagando, etc..
Cos’è dunque il dinamismo?
Praticamente è restare immobili, da cìò l’assunto:
Il massimo del dinamismo nella contemporaneità lo si ha restando immobili,
facendosi autotrasportare.
l’immobilità fisica è il preconcetto spaziale inclusivo del concetto di modernità.
A muoversi sono le cose e con esse si è modificata la nostra percezione del mondo.
Pensa.. te!!!

04 novembre 2007

STORIE


Non bisogna perseguire l’idoleggiamento di un ritorno a forme di armonia con la natura e i luoghi comunque tramontate, né la fuorviante sacralizzazione della natura (….) ma addivenire all’assunzione consapevole della linea di non ritorno segnata dalla modernità, tecnologica e desacralizzata, avendo uno sguardo che vada oltre la chiusura del modello che ha concepito la terra e le cose soltanto come oggetti di sfruttamento e dominio “. ( L. Bonesio)

Iniziare a capire che l’omologazione uniformante il territorio è frutto della mancanza di un intenzionale capacità proiettiva in grado di riconoscerlo come il terreno di uno scontro creativo.
Mettere in atto un approccio alla realtà di natura qualitativa, volto a ricucire gli strappi che la mediocrità del tempo presente ha causato.
Ritornare all’ascolto delle narrazioni che provengono dai luoghi, alla centralità del linguaggio come logos interno alle dinamiche del farsi civitas.
Aderire ai microcosmi organici che connotano gli spazi del vivere, avendo come obiettivo prioritario la costruzione di un rapporto sim-patetico in cui la realtà è immagine del tutto pieno (spazio sostantivo o simbolico del tempo vissuto) contrapposta al vuoto della contemporaneità.
Individuare gli elementi di persistenza, le invarianti, i ritorni di langue, per costruire l’abitare come categoria dell’essere (Heidegger).
Definire la gerarchizzazione delle modalità d’uso del paesaggio come categorie dello spazio vissuto, movimento dal basso, per trovare un momento di saturazione di natura qualitativa, una poetica dello spazio, da cui il modello di prefigurazione socio-politico tragga i suoi codici, che dall’alto definiscano una strategia finalizzata al potenziamento della capacità “mitopoietica” dei luoghi .
Ricostruire l'istmo, la terra di mezzo, il luogo dell'immaginale per riannodare il filo e ri/dipanarlo.
Le nuove narrazioni (Nouveau Urbanisme) possono scaturire solo da un enorme sforzo di comprensione, dal bordo interstiziale tra ciò che è stato e ciò che non è ancora, il luogo liminale in cui la storia si dà come possibilità.