20 dicembre 2012

GRANO o della Moneta Complementare Siciliana




Cari amici, Siamo in piena stagflazione e  le bieche politiche procicliche della Congrega Tecnonichilista sono catastrofiche,
altro che Maya....la fine del mondo sono loro....i Quisling, i Rentiers degli APPARATI...

C'è un interessante iniziativa dell'imprenditore Giuseppe Pizzino ( Camicie Castello) che va valutata seriamente, perchè si sforza di dare risposte di senso,
nel qui ed ora.
Su questa proposta l'imprenditore Giuseppe Pizzino su change.org ha organizzato  una raccolta di firme. ...eccola: " Favorire il rinnovamento economico sociale siciliano, sostenibile a livello regionale, con l'introduzione di una moneta complementare. Si propone l'introduzione di un nuovo sistema monetario in Sicilia quale soluzione semplice e fattuale per il rinnovamento economico e sociale della nostra Isola. Un sistema che bilanci realisticamente gli effetti della recessione e del degrado, che sia durevole, sostenibile, e crei benessere per tutti i cittadini della Regione Siciliana. L'analisi sull'introduzione di un sistema monetario a livello localistico è troppo limitativa perché permetta una valutazione di merito adeguata. A livello nazionale, guardando alla Germania, il marco è stato sostituito a favore della valuta europea. L'introduzione dell'Euro ha avuto sia ripercussioni positive che negative: positive perché ha eliminato le speculazioni nei cambi da parte delle altre valute europee, negative perché ha reso più difficile agli altri governi nazionali reagire efficacemente a situazioni politiche specifiche, di emergenza, e di sviluppo, determinando ripercussioni economiche di riflesso anche in Germania. Questo lascia praticabile un solo livello intermedio, in altre parole quello regionale. Sappiamo che in teoria quasi tutte le transazioni che accadono all'interno di una determinata regione potrebbero essere gestite con un mezzo di scambio regionale. Se questa valuta speciale fosse stata progettata includendo anche un incentivo alla sua circolazione, questo potrebbe rinvigorire sostanzialmente lo scambio all'interno della Regione Siciliana. Ovviamente, non tutte le regioni sono ugualmente attrezzate per adottare questa soluzione. Senza alcun bisogno di applicare, al momento, le prerogative dello Statuto Speciale della Regione Siciliana, possibilità che ci riserviamo di utilizzare in un secondo stato di avanzamento dei lavori, si può sostenere che l'autonomia economica e finanziaria è più facilmente raggiungibile nelle regioni con maggiore diversificazione della produzione e paradossalmente con maggiori penalizzazioni geografiche, come lo è, di fatto, la Sicilia. Ci sono poche casistiche che possono essere usate in questo contesto perché la definizione di "regione" si manifesta solo una volta che la stessa nuova valuta regionale è stata adottata. Dove una regione comincia e finisce dipende esclusivamente dalla volontà della maggioranza della cittadinanza di usare la nuova valuta. Ovviamente, nessuno può essere obbligato a farlo. La volontà di partecipare all'iniziativa potrebbe esser determinata non solo da confini geografici, ma anche da fattori economici, culturali e storici. Lo sviluppo di una valuta regionale complementare ci mette in grado, per la prima volta dall'introduzione delle valute nazionali nel diciannovesimo secolo di dare supporto alla produzione regionale di beni ed alla fornitura di servizi e di farne un vero punto d'onore l'acquisto preferenziale di beni e servizi di origine indigena. Le valute regionali portano nuovo potenziale per la crescita economica alle piccole e medie imprese che sono responsabili della creazione della maggior parte dei posti di lavoro e che fanno profitti principalmente attraverso i mezzi di produzione e non dagli investimenti. Il costo per la creazione di posti di lavoro per la produzione regionale è una minima parte rispetto al costo dei posti di lavoro che servono i mercati internazionali. Lo scopo è di creare un altro mezzo di scambio e di pagamento che sia fattibile ed operativo in modo da determinare se il modello di questa nuova valuta stabile basata sull'incentivo alla circolazione sia o no funzionale in questo contesto. Al fine di raggiungere quest'obiettivo, una valuta regionale non deve solamente essere legale, ma deve realisticamente essere introdotta per gradi e deve essere capace di guadagnare velocemente legittimità convenzionale attraverso la fiducia della popolazione e alle iniziative che le Istituzioni sapranno adottare per promuovere la sua diffusione ed il suo utilizzo. Questo è possibile solo se vengono combinati tre modelli parziali. Presi assieme, questi modelli abbracciano tutte le funzioni che soddisfano l'attuale sistema monetario internazionale, ma in questo caso a livello regionale: Primo, lo strumento operativo: la moneta elettronica (GranCard), usata oggi da tante imprese commerciali per aumentare la fedeltà del cliente, deve essere usata come mezzo di scambio e di pagamento per promuovere lo sviluppo economico di una regione. Secondo, il "Patto d'interesse generale" che consente spendibilità attraverso un sistema di conti per ciascun partecipante. Questo combina le caratteristiche professionali di un circuito con le caratteristiche no-profit di una rete di scambio e commercio locale, offrendo agli abitanti della regione l'opportunità di scambiare tra loro le rispettive abilità. Terzo, la struttura Istituzionale: la Banca Complementare Siciliana che, garantendo con beni reali la convertibilità della nuova moneta, gestisca il nuovo sistema monetario Regionale, secondo il mandato conferito dal Governo autorizzato dell'Assemblea Regionale Siciliana. Quest'amalgama dei vari meccanismi valutari regionali soddisfa virtualmente tutte le funzioni dell'attuale sistema monetario. Il sistema della moneta elettronica è usato, come il contante, per i pagamenti di tutti i giorni e di piccolo importo. Il Patto d'interesse generale permette lo scambio di beni e servizi così come garantisce credibilità tra privati, Istituzioni e categorie sociali e economiche. La Banca Regionale fornisce garanzie in base ai depositi di risparmio e beni patrimoniale per privati, imprenditori e amministrazioni locali. Questa combinazione ha vari vantaggi: tutte le parti possono essere introdotte separatamente, ma assieme permettono un'esplosione di effetti sinergici. Differenze tra l'Euro ed il Grano. In contrasto con l'Euro, il Grano ha le seguenti caratteristiche: non è un mezzo di pagamento "ufficiale", il che significa che nessuno è obbligato ad accettarlo, la sua accettazione è interamente volontaria; il suo uso è limitato solo dalla geografia; lo scambio del Grano per la valuta nazionale comporta il pagamento di un tasso di cambio; non comporta interessi. Il Grano è intrinsecamente una moneta "superiore". Sarebbe, inoltre, più corretto dire delle due valute, quella nazionale/internazionale e quella regionale, che sono individualmente progettate per soddisfare differenti funzioni. L'Euro è più adatto per lo scambio internazionale, per la competizione, l'accumulo e la redistribuzione della ricchezza attraverso risparmi ed investimenti che richiedono un dividendo o interesse che cresce esponenzialmente. Diversamente, il Grano è adatto come mezzo di scambio per promuovere intenzionalmente obiettivi sociali, culturali ed ecologici. Il Grano può anche essere usato per promuovere l'uso efficiente di risorse non-rinnovabili all'interno del territorio col quale le persone si rapportano personalmente ed emotivamente. Il Grano è, come dire, un marchio che deve avere e anche garantire una certa qualità, con lo sviluppo degli standard di qualità, si distingue deliberatamente dalle altre valute. Il Grano ha le sue caratteristiche distintive all'interno di questo scenario: connette differenti partner all'interno della Regione Siciliana, beneficiando tutti i partecipanti al Patto d'interesse generale; funziona all'interno del contesto dell'economia regionale; è complementare alla pre-esistente valuta nazionale; riduce il rischio a lungo termine sia d'inflazione che di deflazione; la sua circolazione è promossa con un sostanziale incentivo; è organizzato Istituzionalmente ed è non-profit; è democraticamente controllato e funziona in modo trasparente; è utile ai membri della comunità individualmente, alle PMI e alle amministrazioni locali; incoraggia un pensiero orientato ecologicamente, e crea delle vie di trasporto più corte ed efficienti; incoraggia la comunità regionale rinforzando l'identità tradizionale. Una caratteristica spesso sottovalutata dei sistemi di valuta complementare è che il loro utilizzo aumenta durante i periodi di recessione economica e diminuisce quando l'economia è nella fase di boom. Così facendo, essi non solo rinforzano le misure anticicliche sia delle banche centrali nazionali che di quelle regionali ma anche gli effetti delle politiche fiscali e monetarie dei governi. Il Grano complementa l'Euro. Non è un sistema per rimpiazzarlo. Non è contro. Per questo si parla di valuta complementare e non alternativa. Al fine di enfatizzare la differenza tra la valuta regionale è l'Euro, è bene utilizzare il termine "Grano" per la valuta complementare. Poiché normalmente non si parla di "moneta Euro" o di "valuta Euro", non vi è necessità di chiamare il Grano "moneta Grano" o "valuta Grano", anche se all'inizio è necessario chiarificare la funzione del nuovo mezzo di scambio e di pagamento. E' bene, quindi, identificarlo sempre semplicemente come "Grano". La domanda che molti sono autorizzati a fare è se dopo tutti gli adempimenti che una valuta complementare regionale deve soddisfare per legittimare l'introduzione territoriale ciò debba avvenire in cooperazione o in aperto contrasto con le banche locali. La risposta è anche in questo caso semplice considerato che la Banca Complementare Siciliana e le banche locali esercitano funzioni, ruoli e competenze radicalmente diverse. La Complementare esercita un ruolo Istituzionale: opera in sinergia con il Governo della Regione; raccoglie i risparmi da destinare agli investimenti durevoli; gestisce il sistema Grano senza scopo di lucro; garantisce la convertibilità del Grano con le altre valute ufficiali. Le banche locali di contro svolgono funzioni diverse: alcune commerciali sono orientate solo al profitto, altre sono banche cooperative, le ultime sono banche di risparmio finalizzato. Le ultime due possono fare affari solo all'interno della sfera economica regionale. Le banche cooperative e quelle di risparmio sono obbligate a concentrarsi sul benessere economico della loro regione perché sono ristrette all'area regionale. Dovrebbero quindi "fertilizzare", "seminare" e "raccogliere" favorendo gli scambi commerciali a livello regionale così come si propone di fare la Banca Complementare Siciliana nella sfera Pubblica. Una valuta regionale sarebbe utile per aiutare ad aggiustare la domanda della regione e l'offerta della regione. A questo proposito la rivitalizzazione dell'economia regionale assieme all'incoraggiamento della vita comunitaria all'interno della regione hanno un significato esistenziale anche per le preesistenti banche cooperative e di risparmio di piccole e medie dimensioni. Non ci saranno problemi legali con l'uso di una valuta regionale complementare come moneta sui giroconti perché, un'opinione legale affermativa in tal senso è stata già espressa. La GranCard è usata come "sostituto del contante" in Italia, col Simec, esiste un precedente, risolto a favore del sistema metrico convenzionale ideato dal Professor Giacinto Auriti, nessuno vieta quindi l'utilizzo del Grano presso banche private, se accettato. È molto importante, piuttosto, includere una clausola nello statuto dell'emittente che permette un trasferimento ad altre unità valutarie, nel caso che l'Euro ceda all'inflazione. A lungo, termine, l'inflazione che ha effetti dannosi sulla ricchezza e la deflazione che comporta una perdita rispetto al potenziale di crescita a lungo termine possono essere evitate se esiste una cooperazione tra la banca centrale ed i sistemi complementari di pagamento. Il trattamento del Grano ai fini fiscali: una delle ragioni principali contro la tassazione delle transazioni in Grano deriva dal loro potenziale per risolvere problemi sociali che altrimenti dovrebbero essere risolti con i soldi del contribuente. E' importante, tuttavia, permettere la possibilità del pagamento delle tasse, quantomeno quelle locali, in Grani, poiché questo determinerebbe se, o meno, il Grano ha raggiunto un'accettazione diffusa e sia usato in tutto il suo potenziale. Forse il modo più efficace per prevenire il successo di una valuta regionale è il richiedere che tutte le tasse sul reddito siano pagate comunque in Euro. Anche il contrario è vero: il miglior modo per promuovere il successo del Grano è di richiederne l'uso come meccanismo di pagamento delle tasse e delle sanzioni, dando al mondo degli affari un maggior incentivo all'accettazione del Grano. Vi sono motivi importanti per cui il Grano dovrebbe essere accettato come mezzo di pagamento delle tasse e delle sanzioni. Primo, queste tasse beneficiano i pubblici servizi regionali. Secondo, esse giocano un ruolo nel mantenimento e nell'espansione dei posti di lavoro. Terzo, le ripercussioni positive sociali ed economiche di una maggior produttività regionale riducono il bisogno di spendere i soldi delle tasse e aiutano a migliorare le condizioni economiche della regione. La visione di una "Europa delle Regioni" esercita un grande fascino su molti individui che, invece di accettare l'integrazione con tutte le sue conseguenze positive e negative essi vedono la possibilità di apportare dei cambiamenti a livello regionale, cambiamenti che andrebbero a diretto beneficio di quelli che sono stati spesso privati dei diritti. Questi ultimi vedono gli Stati Uniti d'Europa non solo in termini di perdita della loro libertà di scelta, ma anche in termini di perdita di potere da parte dei loro politici di fronte alle multinazionali e l'instabilità del sistema finanziario governato dall'istinto degli investitori internazionali. La costruzione di un'economia regionale crea un nuovo principio di base per le politiche economiche e sociali. L'introduzione di valute regionali può dimostrarsi come uno dei più potenti strumenti per la realizzazione di questo nuovo ordine. Iniziative e programmi regionali esistenti sono i "soci naturali" di questo rinnovamento. L'attuale sistema monetario funziona come un'idrovora che aspira il capitale fuori dalle regioni dove viene generato e lo riversa in quelle regioni, dove ottiene il massimo profitto. D'altronde è della massima importanza il limitare geograficamente la circolazione monetaria che esiste primariamente e soprattutto per soddisfare le esigenze della regione. Creando un "argine" per mantenere la moneta al suo interno, può dimostrarsi l'unico modo a disposizione di una regione per mantenere la sua liquidità, "Sicilia docet ". In altre parole, se la nuova valuta deve servire la regione, a differenza dell'attuale valuta che segue unicamente il maggior profitto, la sua circolazione deve essere limitata alla regione. "Per prevenire lo sfruttamento o l'alterazione del bilanciamento economico da parte di forze esterne alla regione, ogni regione deve avere una valuta complementare ed anche un sistema bancario indipendente di cassa depositi e prestiti" e perché no un proprio sistema borsistico. In questo momento la nostra moneta è simultaneamente un mezzo di scambio, uno standard di valore, un'unità di conto ed un mezzo di riserva del valore. Il problema fondamentale è che come sistema di riserva di valore viene associato con la crescita esponenziale della domanda e con la mobilità illimitata. Poiché oggi gli investimenti nei mercati dei capitali rendono maggiormente che gli investimenti nelle imprese produttive, sempre meno moneta fluisce, dove i posti di lavoro vengono creati. D'altra parte i compiti primari di una valuta regionale devono essere di ottimizzare il suo ruolo come mezzo di scambio, come unità di conto (valida solo all'interno di un'area geografica limitata) e come deposito di valore progettato esclusivamente per garantire investimenti strategici e durevoli. Gli obiettivi principali di una valuta regionale sono: l'uso delle risorse disponibili per la produzione di beni e servizi in modo da mettere assieme le risorse non utilizzate con i bisogni non soddisfatti; la riduzione della disoccupazione, il rilancio dell'occupazione, come risultato; l'interruzione della decrescita del reddito prodotto localmente; la creazione di nuove possibilità finanziarie che permettano ai governi locali di meglio adempiere le proprie responsabilità nei confronti delle loro comunità. I programmi per rilanciare gli obiettivi di sviluppo regionale sono sistematicamente falliti. Le strategie adottate esternamente per compensare il deficit economico tra il centro/nord e il Mezzogiorno, non sono state in grado di fermare la fuga dei capitali, del valore creato e delle risorse umane. Anche le strategie interne che intendevano promuovere lo sviluppo regionale hanno ignorato un fattore cruciale: l'approvvigionamento di moneta e la gestione di liquidità. Era anche ovvio che i progetti a bassa profittabilità non potevano essere finanziati con capitale che è sotto pressione, sempre maggiore, per la creazione di alti profitti. In tempi in cui la classe politica ha mancato di presentare qualsiasi soluzione legittima per le crisi di questo periodo, dalla lotta ai "buchi" nei bilanci dei governi a livello nazionale e locale, dalla privatizzazione d'infrastrutture vitali come la fornitura di energia, del trattamento dei rifiuti, dei trasporti pubblici fino alla riduzione della disoccupazione, dobbiamo fornire delle analisi e delle idee non-convenzionali perché un cambiamento prenda piede. Di fronte agli interessi della finanza rispetto all'economia reale, è tempo di rivitalizzare le regioni come nuovo punto di riferimento per l'individuo, è all'interno di questo schema che il tema delle "valute regionali complementari" deve essere percosso. L'introduzione di una valuta complementare regionale s'identifica come un passo importante verso la realizzazione di un'economia sostenibile. E' cruciale che la Regione Siciliana si guadagni un'esperienza iniziale dall'introduzione della propria valuta regionale prima che l'entusiasmo che suscita questa idea non produca tentativi immaturi ed errori evitabili che potrebbero fornire ai detrattori gli argomenti contro il sistema monetario regionale complementare. Il fine ultimo, non più procrastinabile stante il persistere della grave crisi di programmi e di liquidità della Regione Siciliana, è fornire sia la sfera politica che quella economica, di nuove e fruttuose intuizioni che dimostrino il potenziale positivo dell'implementazione delle valute regionali complementari." (Giuseppe Pizzino).

27 novembre 2012

La piena umanità


Fare esperienza
del flusso della vita
che scorre...
qui ed ora..
può voler dire
essere aperti al mondo
non per trasformarlo,
ma per cogliere le cose
come sono veramente..

23 novembre 2012

La Contemplazione



La contemplazione è l’espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell’uomo. È quella vita stessa, pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita. È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, dell’essere. È gratitudine per il dono della vita, della consapevolezza, dell’essere. È chiaro intendimento che la vita e l’essere, in noi, derivano da una Fonte invisibile, trascendente e infinitamente ricca. La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte. Essa conosce questa Fonte in modo oscuro, inesplicabile, ma con una certezza che trascende sia la ragione, sia la semplice fede. La contemplazione infatti è un genere di visione spirituale alla quale aspirano, per la loro stessa natura, la ragione e la fede, poiché senza di essa sono destinate a restare sempre incomplete. Tuttavia la contemplazione non è visione, perché vede «senza vedere» e conosce «senza conoscere». È fede che penetra più in profondità, conoscenza troppo profonda per poter essere afferrata in immagini, in parole, o anche in concetti chiari. Essa può venire suggerita da parole, da simboli; ma nel momento stesso in cui tenta di descrivere ciò che conosce, la mente contemplativa ritratta ciò che ha detto e nega ciò che ha affermato. Perché nella contemplazione noi conosciamo, per mezzo della «non conoscenza», o meglio conosciamo al di là di ogni conoscenza o «non conoscenza».

La poesia, la musica e l’arte hanno qualcosa in comune con l’esperienza contemplativa. Ma la contemplazione va oltre l’intuizione estetica, l’arte e la poesia. Anzi, va anche oltre la filosofia e la teologia speculativa. Essa le riassume, le trascende e le completa tutte, eppure, nel medesimo tempo, sembra in un certo senso, soppiantarle e negarle tutte. La contemplazione va sempre oltre la nostra conoscenza, i nostri lumi, oltre ogni sistema, ogni spiegazione, ogni discorso, ogni dialogo, oltre il nostro stesso essere. Per entrare nel regno della contemplazione è necessario, in un certo senso, morire; ma questa morte è, in realtà, l’accesso a una vita più alta. E un morire per vivere; un morire che lascia dietro di sé tutto ciò che conosciamo e che teniamo in gran conto, come il vivere, il pensare, l’esperimentare, il gioire, l’essere. ( da "Semi di contemplazione" di Thomas Merton)

15 novembre 2012

Ai Giovani



Uno scritto di Jiddu Krishnamurti tratto da: La ricerca della felicita', proposto nella sua integralità, ad illuminare questo triste novembre...
"Vi siete mai chiesti quale sia il senso dell'educazione? Perché andiamo a scuola, perché impariamo varie materie, perché facciamo esami e gareggiamo fra di noi per avere i voti migliori? Qual è il significato della cosiddetta educazione, qual è la sua vera funzione? Si tratta di un interrogativo realmente importante, non solo per gli studenti, ma anche per i genitori, per gli insegnanti e per chiunque ami questo nostro pianeta. Perché affrontiamo la lotta che il ricevere un'educazione comporta? E' semplicemente allo scopo di superare qualche esame e trovare lavoro? Oppure la funzione dell'educazione è di prepararci, quando siamo giovani, a comprendere il processo della vita nella sua interezza? Avere un lavoro e guadagnarsi da vivere è necessario - ma è davvero tutto lì? E' solo per quello che veniamo educati? Di certo la vita non è fatta soltanto di un lavoro, di un'occupazione. La vita è qualcosa di straordinariamente ampio e profondo, è un grande mistero, un vasto regno in cui agiamo in quanto esseri umani. Se ci prepariamo semplicemente a guadagnarci da vivere, non riusciremo a cogliere il senso della vita; e comprendere la vita è molto più importante che prepararsi per un esame o ottenere ottimi risultati in matematica, fisica e così via.
Dunque, in quanto insegnanti o allievi, non è importante domandarci perché educhiamo o veniamo educati? E qual è il significato della vita? Non è forse la vita una cosa straordinaria? Gli uccelli, i fiori, gli alberi in fiore, il cielo, le stelle, i fiumi e i pesci che ci vivono - tutto questo è vita. La vita sono i poveri e i ricchi; la vita è la perenne battaglia fra gruppi, razze e nazioni; la vita è meditazione; la vita è ciò che chiamiamo religione, ed è anche gli aspetti inafferrabili, nascosti, della mente - le invidie, le ambizioni, le passioni, le paure, le gratificazioni, le angosce.
La vita è tutto questo e molto di più. Ma di solito ci prepariamo a comprenderne solo una piccola porzione. Superiamo certi esami, troviamo un lavoro, ci sposiamo, abbiamo dei figli, e diventiamo sempre più simili a macchine. Continuiamo a essere paurosi, ansiosi, spaventati dalla vita. E allora, la funzione dell'educazione è di aiutarci a comprendere l'intero processo della vita o semplicemente di prepararci a una professione, al miglior lavoro possibile?
Cosa ne sarà di tutti noi quando diventeremo uomini e donne adulti? Vi siete mai chiesti cosa farete quando sarete adulti? Con ogni probabilità vi sposerete e, prima ancora di rendervene conto, sarete madri e padri; a quel punto sarete legati a un lavoro, o alle incombenze domestiche, e così, poco a poco, appassirete. E' tutto qui quello che la vostra vita si avvia a essere? Ve lo siete mai chiesto? Non dovreste interrogarvi a questo proposito? Se la vostra famiglia è agiata, può darsi che abbiate già assicurata una posizione abbastanza buona, che vostro padre vi procuri un lavoro comodo o che facciate un matrimonio ricco; ma anche così andrete incontro al declino, al deterioramento.
Certamente l'educazione non ha senso a meno che non vi aiuti a comprendere la vastità della vita in tutte le sue sfumature, con la sua straordinaria bellezza, i suoi dolori e le sue gioie. Potete avere lauree e titoli accademici, e trovare un ottimo lavoro; e poi? A che serve tutto questo se strada facendo la vostra mente si offusca, si logora, si instupidisce? Non dovreste cercare di scoprire il senso della vita adesso che siete giovani? E non è forse quella la vera funzione dell'educazione, ossia di coltivare in voi l'intelligenza che cercherà di trovare la risposta a tutti questi problemi? Sapete cos'è l'intelligenza? E' la capacità di pensare liberamente, senza paure, senza formule, che ci permette di cominciare a scoprire autonomamente ciò che è reale, ciò che è vero; ma se siete spaventati, non sarete mai intelligenti. Qualunque forma di ambizione, spirituale o terrena, alimenta l'ansia, la paura; ecco perché l'ambizione non aiuta a far sviluppare una mente che sia chiara, semplice, diretta, e quindi intelligente.
Sapete, è molto importante, quando si è giovani, vivere in un ambiente dove non alligni la paura. Andando avanti con gli anni, la maggior parte di noi diventa sempre più timorosa: abbiamo paura di vivere, paura di perdere il lavoro, paura della tradizione, paura di ciò che i vicini o il proprio coniuge diranno, paura della morte. La maggior parte di noi ha paura, in una forma o nell'altra; e dove è presente la paura, non c'è intelligenza. E non è forse possibile per tutti, da giovani, vivere in un ambiente dove non si respiri la paura, bensì la libertà - libertà non di fare ciò che si vuole, ma di comprendere il processo del vivere nella sua interezza? La vita è in realtà bellissima, non è quella brutta cosa a cui noi l'abbiamo ridotta; e se ne può apprezzare la ricchezza, la profondità, la straordinaria bellezza solo quando ci si ribella contro tutto - contro la religione organizzata, contro la tradizione, contro il marcio della società attuale - scoprendo autonomamente, in quanto singoli esseri umani, ciò che è vero. Non imitazione, ma scoperta: è questa l'educazione, non è così? E' molto facile adeguarsi a ciò che la società o i genitori o gli insegnanti vi dicono. E' un modo sicuro e facile di esistere; ma non è vivere, perché in esso si annidano la paura, la decadenza, la morte. Vivere vuol dire scoprire autonomamente ciò che è vero, e questo è possibile soltanto quando si è liberi, quando è in atto una continua rivoluzione interiore.
Ma non siete incoraggiati a muovervi in questa direzione; nessuno vi dice di indagare, di scoprire autonomamente cos'è Dio, perché se mai vi ribellaste, diventereste un pericolo per tutto ciò che è falso. I vostri genitori e la società vogliono che viviate una vita sicura, e anche voi lo volete. In generale, una vita sicura significa una vita di imitazione e, quindi, di paura. Ma la funzione dell'educazione è di aiutare ciascuno di noi a vivere liberamente e senza paura, non è così? E la creazione di un'atmosfera libera da paure richiede un considerevole sforzo di riflessione sia da parte vostra, sia da parte dell'insegnante, dell'educatore.
Sapete cosa significa questo - che cosa straordinaria sarebbe creare un'atmosfera libera da paure? Noi dobbiamo crearla perché, come possiamo vedere tutti, il mondo è perennemente in preda alla guerra, è guidato da politici avidi di potere, è un mondo di avvocati, poliziotti e soldati, di uomini e donne ambiziosi che vogliono farsi una posizione e lottano gli uni contro gli altri per affermarsi. Poi ci sono i cosiddetti santi, i guru religiosi con i loro seguaci; anch'essi bramano il potere, il prestigio, adesso o in una vita futura. E' un mondo folle, in preda alla confusione più totale, in cui il comunista combatte il capitalista, e il socialista si oppone a entrambi; tutti hanno nemici e lottano per conquistare la sicurezza, rappresentata da una posizione di potere o di agiatezza. Il mondo è lacerato dai conflitti fra credenze opposte, dalle differenze di casta e di Casse, dai separatismi nazionali, dalle forme più svariate di stupidità e di crudeltà - e voi venite educati a prendere il vostro posto proprio in questo mondo. Venite incoraggiati a inserirvi nel contesto di questa società disastrosa; è questo che vogliono i vostri genitori e che anche voi, in effetti, volete.
Orbene, la funzione dell'educazione è semplicemente quella di aiutarvi ad adeguarvi allo schema di quest'ordine sociale marcio o piuttosto di darvi la libertà - la più completa libertà di crescere e creare una società differente, un mondo nuovo? Noi vogliamo tale libertà non nel futuro, ma adesso, altrimenti corriamo tutti il rischio di distruggerci. Dobbiamo creare subito un'atmosfera di libertà, cosicché voi possiate vivere e scoprire autonomamente ciò che è vero, diventare intelligenti, essere capaci di affrontare il mondo e comprenderlo, anziché semplicemente adeguarvi ad esso; dentro di voi, in profondità, psicologicamente, dovete essere perennemente in rivolta, perché solo coloro che sono sempre in rivolta possono scoprire il vero, non certo coloro che si adeguano, che seguono la tradizione. Solo indagando, osservando, imparando costantemente, potete trovare la verità, Dio o l'amore; ma non potete indagare, osservare, imparare, non potete avere alcuna consapevolezza profonda, se avete paura.
Dunque, la funzione dell'educazione è di sradicare, tanto internamente quanto esternamente, questa paura che distrugge il pensiero, i rapporti umani e l'amore.
Forse possiamo esaminare il problema della paura da un'altra angolazione. La paura produce effetti straordinari sulla maggior parte di noi. Crea ogni sorta di illusioni e di problemi. Se non la esploreremo in profondità fino a comprenderla veramente, la paura distorcerà sempre le nostre azioni. La paura deforma le nostre idee e menoma il nostro modo di vivere; crea barriere fra le persone e certamente distrugge l'amore. Quanto più ci addentriamo nella paura, quanto più la comprendiamo e ce ne liberiamo realmente, tanto maggiore sarà il nostro contatto con tutto ciò che ci circonda. Attualmente i nostri contatti vitali con la vita sono assai pochi, non è vero? Ma se riusciamo a liberarci dalla paura, amplieremo tali contatti, approfondiremo la nostra comprensione delle cose, avremo una reale compassione, una considerazione amorevole per il mondo, e i nostri orizzonti si allargheranno enormemente. Vediamo dunque se possiamo parlare della paura da un diverso punto di vista.
Mi domando se avete mai notato che la maggior parte di noi ricerca un qualche tipo di sicurezza psicologica. Desideriamo la sicurezza, qualcuno a cui appoggiarci. Come un bambino piccolo stringe la mano della madre, così noi vogliamo qualcosa a cui aggrapparci, qualcuno che ci ami. Senza un senso di sicurezza, senza una difesa mentale, ci sentiamo persi. Siamo abituati ad appoggiarci agli altri, a rivolgerci agli altri affinché ci guidino e ci aiutino, e senza tale sostegno ci sentiamo confusi, spaventati, non sappiamo cosa pensare, come agire. Nel momento in cui siamo lasciati a noi stessi, ci sentiamo soli, insicuri, incerti. Da questo nasce la paura, non è così?
Desideriamo qualcosa che ci dia un senso di sicurezza e abbiamo a disposizione difese di vario genere, barriere protettive sia interne che esterne. Quando chiudiamo le finestre e le porte di casa e restiamo dentro, ci sentiamo al sicuro, indisturbati. Ma la vita non è così. La vita bussa in continuazione alla nostra porta, cerca di spalancare le nostre finestre in modo che possiamo vedere di più; e se, spinti dalla paura, chiudiamo a chiave le porte e sbarriamo le finestre, busserà ancora più forte. Quanto più ci aggrappiamo alla sicurezza, sotto qualunque forma, tanto più la vita interviene e ci trascina. Quanto più abbiamo paura e ci chiudiamo in noi stessi, tanto maggiore è la sofferenza, perché la vita non ci lascia in pace. Vogliamo sicurezza, ma la vita dice che non possiamo averla; e così ha inizio la nostra lotta. Cerchiamo la sicurezza nella società, nella tradizione, nel rapporto con il padre e la madre, con il marito o la moglie; ma la vita fa sempre irruzione attraverso le mura della nostra sicurezza.
Anche nelle idee cerchiamo sicurezza o conforto, non è così? Avete osservato come nascono le idee e in che modo la mente ci si aggrappa? Avete l'idea di qualcosa di bello che avete visto durante una passeggiata e la vostra mente torna a quell'idea, a quel ricordo. Leggete un libro e ne ricavate un'idea a cui vi aggrappate. E' indispensabile, dunque, che capiate come nascono le idee e come diventano un mezzo per procurarsi sicurezza e conforto interiore, qualcosa a cui la mente si aggrappa.
Avete mai riflettuto sulla questione delle idee? Se uno di voi ha un'idea e io ho un'idea differente, e ciascuno dei due pensa che la propria idea sia migliore di quella dell'altro, ci accapigliamo, non è così? Io cerco di convincere lui ed egli cerca di convincere me. Il mondo intero è costruito sulle idee e sui relativi conflitti; e se esaminate la questione in profondità, scoprirete che il semplice fatto di aggrapparsi a un'idea non ha senso. Ma avete notato che vostro padre, vostra madre, i vostri insegnanti, i vostri zii e zie, si aggrappano tutti tenacemente alle proprie idee? Orbene, come nasce un'idea? Come vi vengono le idee? Quando ad esempio avete l'idea di andare a fare una passeggiata, come è sorta tale idea? E' molto interessante scoprirlo. Basta osservare - e capirete come sorge un'idea di questo genere, e come la mente si aggrappa ad essa, scartando tutto il resto. L'idea di andare a fare una passeggiata è la risposta a una sensazione, non è così? Già in passato siete andati a passeggio e ve ne è rimasta un'impressione o sensazione piacevole; avete voglia di rifarlo, così l'idea viene creata e poi messa in pratica. Quando vedete una bella automobile, avvertite una sensazione, non è così? Tale sensazione nasce dal fatto stesso di guardare l'automobile. La visione crea la sensazione, da cui nasce l'idea, "Voglio quella automobile, è la mia automobile", e l'idea diventa allora assolutamente predominante.
Cerchiamo sicurezza fuori di noi, nel possesso di oggetti e nei rapporti, e anche internamente, nelle idee e nelle credenze. Credo in Dio, credo nei riti, credo che dovrei sposarmi in base a certi principi, credo nella reincarnazione, nella vita dopo la morte, e così via. Queste convinzioni derivano tutte dai miei desideri e pregiudizi e ad esse mi aggrappo. Ho sicurezze esterne, ossia al di fuori dei confini del mio corpo, e sicurezze interne; toglietemele o mettetele in discussione, e io avrò paura; vi respingerò, vi combatterò se minacciate la mia sicurezza.
Ma esiste davvero questa cosa chiamata sicurezza? Capite Cosa intendo? Noi abbiamo certe idee a proposito della sicurezza. Possiamo sentirci sicuri insieme ai nostri genitori oppure facendo un particolare lavoro. Il nostro modo di pensare, di vivere, di guardare alle cose - tutto questo ci può soddisfare. La maggior parte di noi è ben contenta di rinchiudersi dentro idee sicure. Ma è davvero possibile essere sicuri, malgrado tutte le difese interne ed esterne a nostra disposizione? Sul piano esterno può accadere che domani la nostra banca fallisca, ché nostra madre o nostro padre muoiano, che scoppi la rivoluzione. E c'è forse sicurezza nelle idee? Ci piace pensare di essere al sicuro con le nostre idee, le nostre credenze, i nostri pregiudizi; ma lo siamo davvero? Ci sono muri che non sono reali, che sono semplicemente il frutto delle nostre sensazioni e concezioni. Ci piace credere che esista un Dio il quale vigila su di noi, oppure che rinasceremo più ricchi, più nobili di quel che siamo adesso. Potrebbe essere e potrebbe non essere. E' facile dunque, se consideriamo le certezze sia interne che esterne, accorgersi che nella vita non c'è alcuna sicurezza.
Vedendo tutto questo, una persona profonda inizia a liberarsi di ogni tipo di certezza, interna o esterna. Ciò è estremamente difficile, perché significa essere soli - soli nel senso che non si è dipendenti da nulla. Nel momento in cui si dipende da qualcosa, si ha paura; e dove c'è la paura, non c'è amore. Quando si ama, non si è soli. Il senso di solitudine sorge unicamente quando si ha paura di essere soli e di non sapere cosa fare.
Quando si è controllati dalle idee e isolati dalle credenze, la paura è inevitabile; e quando si ha paura, si è completamente ciechi.
Insieme, insegnanti e genitori devono dunque risolvere questo problema della paura. Ma purtroppo i vostri genitori hanno paura di ciò che potreste fare se non vi sposate o se non trovate lavoro. Hanno paura che prendiate una cattiva strada, paura di ciò che potrebbe dire la gente, e a causa di tale paura vogliono che facciate determinate cose. La loro paura è ammantata di quello che essi chiamano amore. Vogliono prendersi cura di voi, dunque dovete fare questo e quest'altro. Ma oltre il muro del loro cosiddetto affetto e attenzione per voi, scoprirete la paura, il timore per la vostra sicurezza e rispettabilità; e anche voi siete spaventati, perché per tanto tempo siete dipesi da altre persone.
Ecco perché è molto importante che, sin dalla più tenera età, cominciate a mettere in discussione e a infrangere questi sentimenti di paura, per non farvi isolare da essi, per non restare rinchiusi nelle idee, nelle tradizioni, nelle abitudini; e siate, invece, esseri umani pieni di vitalità creativa."


12 novembre 2012

Apriti Sesamo o della centralità dello spirito


Mi sono lasciato attraversare....

dalle tue parole, frutto di una consonanza spirituale,

dai tuoi scritti che disvelano un orizzonte occluso ai più,

che si apre ai luoghi dell'anima..

dalla tua musica, nella quale confluiscono tematiche

di una profondità rivelatrice di nuove ri/nascite,

di un uomo nuovo prossimo a veder la luce....

grazie Franco..

26 ottobre 2012

Panthalassa




Lo sfondamento dell’orizzonte prodotto dal mare
impedisce che ogni sapere
si fermi in un pensiero definitivo.

L’uomo mediterraneo vive da sempre tra terra e mare
e limita l’una tramite l’altro.

La premessa di qualsiasi apertura a 360 gradi,
debitrice di suggestioni panthalassiche,
è nella consapevolezza dell’inconoscibilità di un luogo,
del suo sottrarsi a noi
e alla nostra esperienza
quando non siamo capaci
neanche di immaginare che il nostro essere lì -
possa costituire un oltraggio,
una profanazione.

L’attuale deculturazione,
frutto di rigidità epistemiche,
alimentate dall'odierna deriva sistemica,
non è un destino..
ad essa si può reagire -
con uno sforzo creativo
capace di innestare
in modo originale
la storia di un paese nella modernità,
di scoprire un uso nuovo di tradizioni antiche.

Occorre,
per far ciò,
un lungo processo di trasformazione culturale,
occorre che venga frenata la deriva riduzionista
dell’identità culturale dell’occidente
all’imperativo dell’espansione illimitata,
che la resistenza
alla mercificazione
e alla tecnicizzazione
di tutti gli ambiti di vita
non sembri più frutto
della malinconia (spleen)
di signori (schizzinosi, questa volta sì)
superati dai tempi.

Che cosa è più complesso di una buona riflessione?
Essa, qui, è sempre doppia.
E' fatta di terra e di mare.
Bisogna ritornare a porsi davanti all’infinità marina
che apre tutte le possibilità,
essere erratici,
aperti al cambiamento perché mutevoli,
cangianti come le maree,
dare libero corso al pensiero..
ce lo insegna la Grecia,
cui è necessario ritornare.
La Grecia che è l’ombra e la luce....

Questo post è in parte debitore del pensiero del sociologo Franco Cassano,
di cui sono fondamentali due testi:"Il pensiero meridiano" ed "Homo civicus"
entrambi editi da Laterza.

24 ottobre 2012

Appunti su Piccola e Grande Politica


La politica, quale arte di governo, si trova di fronte ad un alternativa: limitarsi, più o meno consapevolmente, ad amministrare le cose, lasciandole così come vengono trovate; oppure impegnarsi in un percorso di trasformazione dell’esistente, di innovazione civile oltreché istituzionale, di modernizzazione nelle strutture e nella mentalità. L’impegno per il cambiamento, spesso sbandierato, finora è stato una mera affermazione rituale e retorica perché ha sottovalutato la forza della resistenza inerziale, passiva, e l’attitudine conservatrice che non si esprime attraverso l’esplicita e dichiarata opposizione ma tramite i mille rivoli delle complicazioni burocratiche, delle tentazioni puntualmente compromissorie, della lenta azione erosiva con la quale un atavico scetticismo corrode la volontà di innovare.

Su questa sponda naufraga la piccola politica.

Grande politica è invece quella che, mettendo in preventivo gli ostacoli, schiera in campo energie ulteriori, dotandosi della capacità di sferzare il senso comune verso la percezione che le riforme innovative sono a portata di mano.
Qui si deve incrociare la precisione dell’intervento con la profondità di una visione di ampia portata e di lunga durata: il Progetto, la vocazione ad amministrare “per progetti” consiste nella instancabile azione di raccordo tra rapidità nel decidere ogni singolo problema e l’abilità a mantenere la visione dell’insieme, mettere e mantenere tutto in movimento.

Allora il programma di governo viene efficacemente calato nella produzione legislativa e la politica si incarna nel dinamismo delle norme:
la percezione del cambiamento diventa fatto quotidiano nella vita dei cittadini.

E l’azione di governo lascia un segno duraturo nella storia delle nostre città.

La cornice di un progetto dunque rappresenta un elemento fondamentale entro il quale muoversi, servendosene come una bussola nell’affrontare le difficoltà delle questioni settoriali.

“ Temo di più l’impotenza che non il potere della politica (Mario Tronti);

l’obiettivo polemico non è la politica che si fa potere ma un potere sempre meno politico.
Il governo è sempre più amministrazione delle cose della casa e meno capacità di dirigere i processi sociali.
La politica non cambia più le vite: la gestione politica del potere non è più un obiettivo.

La rottura tra la politica ed il potere: questo apre la strada ad una ricerca comune di un linguaggio altro della politica. Allora la cultura, come “eros di coloro che creano”, deve inventare nuove parole e nuove immagini.

In questa prospettiva di mobilitazione civile la cultura gioca un ruolo decisivo, a patto che venga sottratta alla sterilità accademica, alla contemplazione di se stessa, alle ricadute nel pessimismo che avvelenano e screditano la produzione intellettuale.

L’immaginazione culturale ritrova un ruolo solo se è in grado di sedurre all’azione, contrastare la rassegnazione e il naturale logorio dell’abitudinarietà, dimostrare con assoluto e splendente rigore che l’orizzonte del cambiamento è possibile, qui ed ora. Non è ammesso nessun sogno impotentemente idealistico, nessun rimpianto, nessun rinvio a chissà quale domani.
Cultura come com-prensione, presa sulle cose: immagine tutta politica, polemica, efficace.

L’azione politico amministrativa trova un ruolo solo se ha l’ambizione di modificare la realtà sociale, di velocizzare la modernizzazione a ritmo sostenuto, di eccedere un ruolo tecnico proprio portando anche la tecnica a supportare la realizzazione dei grandi progetti.

Non è ammessa nessuna contiguità con i modelli amministrativi precedenti (devono cambiare persino i nomi dei ministeri e degli assessorati), nessuna litania depolarizzante sulla pretesa neutralità dell’azione di governo, nessun dubbio rinunciatario circa la capacità dei cittadini di condividere e sostenere le grandi aspettative quando, al contrario, la passione politica è ancora così diffusa da rappresentare il tratto distintivo più rilevante del laboratorio politico italiano.

Dice James Hillman: “ L’inclusione di ciò che è “eccessivo e anormale” intessendolo nel quotidiano: è questa l’arte della coscienza politica”.

Dunque l’accento insiste sulla tessitura: non nel ruolo costitutivamente disperato dell’intellettuale che testimonia, con didascalica acidità, a favore di nobili e imprecisabili valori traditi dalla classe dirigente ma attitudine, maturata nel rigore appassionato, a stare nella politica indicandovi con linguaggio ad essa consonante i significati ulteriori e insoliti già presenti in ciò che sembra abituale e scontato.
Indicare i varchi puntualmente, sconnettendo e riconnettendo un filo dopo l’altro, anziché proclamare con un unico gesto retorico la pretesa insufficienza del reale.

Dice Hannah Arendt: ”questa mancanza di chiarezza concettuale e di precisione rispetto alla realtà e alle esperienze esistenti è stata da allora il peggior male della storia occidentale fin da quando, sulla scia dell’età Periclea, gli uomini d’azione si separarono dagli uomini di pensiero e il pensiero cominciò a emanciparsi completamente dalla realtà, specialmente dalla realtà e dall’esperienza dei fatti politici. La grande speranza dell’età moderna è stata fin dall’inizio che questa frattura si potesse sanare…”

Dice Ezra Pound: ”Un buon governo è quello che opera tenendo conto di tutto ciò che di meglio è pensato e conosciuto. E il miglior governo è quello che traduce il più rapidamente possibile il miglior pensiero in azione”.

Nella società italiana, in movimento, c’è molto di nuovo e di interessante: si tratta di dare rappresentanza ed espressione a questo nuovo.

23 ottobre 2012

Pharmakon



L’attacco contro la politica è un attacco alla complessità del reale, in nome della restaurazione di un ordine lineare, fondato sul principio della delimitazione dei campi del sapere e dell’esperienza. Va allora riattivata la comunicazione tra etica ed estetica, tra pensiero e prassi espressiva, va rianimato il campo dell’immaginario.
La veicolazione a tutto campo di uno stile estetico che accolga la “devianza” è il prodotto di una forte intenzionalità progettuale, che mira non a medicare, per via razionale, la complessità del reale , ma cerca di esperire, per via estetica, la complessità dei significati e a raccontarne, per via poetica e immaginativa, l’intreccio.
L’estetica del Rinascimento parlava di complicatio, piuttosto che di explanatio o simplificatio.
Nel momento in cui riusciamo a rendere complesse le cose in modo giusto, allora cominciamo a costringere l’immaginazione a lavorare.
La semplificazione arresta l’immaginazione.
L’inclusione di ciò che è eccessivo e anormale intessuto nel quotidiano: è questa l’arte della coscienza politica.
Questo tipo di tessitura non è lo stesso di fare trapunte, inchiodare assi, cucire pezzi di cuoio, rammendare buchi. Non è rattoppo. Non è bricolage, attività casuale, senza un interna necessità.
Il compito degli intellettuali, a questo punto e’ segnato.
Riaccordare l’ordine logico-discorsivo all’ordine imaginale.
Accettare come fecondo il moto di oscillazione tra Apollo e Dioniso.
La sutura può avvenire nella riabilitazione dello statuto dell’immagine,
che è creatrice, segno della ferita originaria.
L’immagine ferisce ma anche salva, è pharmakon dell’immaginario.
Nella configurazione dei segni, nelle impronte incise sull’immaginario dall’opera d’arte, è possibile intravedere un’aoristica armonizzazione dell’impulso al delirio con l’istanza di norma.
E’ proprio in questo accordo, che avviene sotto lo sguardo lucido di Atena, sta la valenza politica di ogni progetto di polarizzazione del campo.
Scrive giustamente Pietro Barcellona “ ..la politica trasforma lo scarto, ne modifica i termini e lo approfondisce, crea la misura e apre lo spazio per la dismisura, conserva la società e la modifica radicalmente”, in questo senso entrano in gioco l’impegno, la libertà, la volontà. “ la volontà nasce dall’ingravidamento dell’immaginazione con la libertà. Appena la volontà si apre alla magia del desiderio, essa incontra la libertà di lasciarsene pervadere, o di spaziare in essa. La volontà fin qui indeterminata è magicamente ingravidata e dà luogo alla volontà determinata..”
….e ciò ha del meraviglioso.

17 ottobre 2012

LA VITA BUONA



Uno dei problemi più acuti dell'oggi 
è costituito dalle difficili condizioni del convenire, 
nell'assenza di una genuina etica della comunicazione.
Nella dissolvenza di tale etica, 
diventa un impresa disperata ogni comune progettazione 
della forma del vivere bene in comunione. 
Senza un riferimento forte al "bene comune" 
la politica rischia di degradarsi a lotta di tutti contro tutti, 
di tramutarsi in pura sopraffazione.
Occorre cercare di riannodare i fili
di una purificazione rigenerante della politica sul terreno dell'etica, 
combattendo strenuamente
l'eclissi contemporanea del senso della verità.

Si può dire e fare tutto e il contrario di tutto, impunemente...

La vita buona in comune, 
nell'ambito di istituzioni giuste,
non costituisce un lusso 
ma una componente necessaria di essa.
Se noi non volessimo, 
come d'altronde facciamo correntemente, 
prender parte ad alcuna decisione politica, 
già avremmo preso la decisione più nevralgica: 
cioè quella di lasciare ogni guida ed orientamento 
nelle mani delle minoranze governanti al presente,
lasciandoci sospingere e condurre innanzi.
Solo questo ragionamento può consentirci
di riscoprire la necessità 
e la verità della politica, 
come dell'etica: 
mostrare l'interna aporia di coloro che, 
respingendo a parole ogni impegno, 
ed io sono uno di questi, 
assumono di subire
una politica ed un'etica 
della peggior specie: 
quelle della passività e dell'acquiescenza.

15 ottobre 2012

Hetairia



Cos’è rimasto della politica?
Cos’è che ci tiene insieme?
Un residuo fantasmatico e virtuale, completamente privo di senso e che rende ridicole le rispettive posture e inconsistenti i brandelli di relazione pubblica.
La crisi è profonda perché purtroppo la corruzione non è quella che ingrassa i patrimoni di pochi o di molti: come una vera ruggine l’agente corrosivo ha intaccato indifferenziatamente la consistenza strutturale della politica, la sua tenuta formale. Non sono i partiti a essere in crisi, ma la politica stessa, perché non ha più parole adeguate per esprimere le sue ragioni. Le parole della politica sono corrose, sono diventate desuete e anche chi dovrebbe difenderle accetta il registro minimalista della querimonia qualunquistica.
Occorre avere il coraggio di rilanciare, contro ogni buon senso comune, la dignità della politica, la bellezza agonistica dei suoi scenari, la sfida della dialettica come meccanismo di decantazione e di trasmutazione delle passioni in atti efficaci.
La politica come atto artistico collettivo, come esperimento creativo del logos che si contrappone efficacemente allo stato di natura: che non rincorre la dimensione primitivistica e le sue disarticolate espressioni, ma ragiona per raffinare gli istinti primari, per contenere le passioni e dare loro visibilità, espressione, forma.
Il ripristino del carattere nobile della tèchne politikè, che è soprattutto una disciplina di articolazione verbale e logica del pensiero: una tecnica che ha alcuni requisiti essenziali, tra cui sta, non secondariamente, la capacità di parlare appropriatamente e, cioè di avere a disposizione un repertorio abbondante di sintagmi, un’ampia ricchezza di lessico, una modulazione variegata di rigorosi registri retorici, perché su questo e non su altro si misura la bontà delle ragioni delle parti che vengono a contesa.
Occorre trovare il coraggio di rilanciare la dimensione lucente del conflitto in cui la ragione mette alla prova le sua virtù e la passione misura la propria potenza. Politica che è artificio, che è eccedenza, che è sfida scandalosa, che è agone e ritmo e misura.
Lo spazio politico è uno spazio polarizzato in cui si giostra armati delle propri virtù: individuali, comunitarie e collettive.
E’ un serissimo gioco che simula la guerra, traducendola sul piano estetico in opera d’arte, sul piano storico in atti efficaci. E questo il teatro della virtù politica: teatro di gesti e di parole giuste ed appropriate.
D’altronde, già dalle parole tragiche eschilee, dovere del politico è ta kairia legein, “ dire le parole opportune al momento opportuno”.
Fare politica è anche in Greco figura di Atena, la dea che sta sulle mura, in armi a custodire la città; che sta dentro il tempio, a proteggerne simbolicamente la forma.
Ma Atena, prima di tutto, è la dea che conosce e governa l’arte del telaio, dell’attenzione concentrata punto per punto, sul punto che chiude il nesso fra trama ed ordito; ma che nel contempo sa tenere l’occhio aperto – il suo occhio chiaro e lucente – sullo schema finale, sul disegno complessivo.
Rigore puntuale e progettualità, calcolo e sguardo lungimirante verso la costruzione complessa dell’ordito: “tessere” la relazione politica è una metafora della difficilissima arte della tessitura, non viceversa.
Atena, la dea senza madre, la dea della polis, è figura che presiede alla concreta costruzione di una trama, da un insieme scomposto di fili.
Che con pazienza e misura, intreccia e complica il filo lineare e gli da spessore, e ne fa tessuto.
Come il filo che si fa tessuto, per sorprendente, abilissimo artificio l’unidimensionalità della linea si trasforma in un corpo consistente, così l’intervento strutturante ed efficace del fare politico è una irruzione sulla linearità dell’esistente, che destruttura il già dato, che prevede una strada prima invisibile; che è capace di alterare rapporti, di trasformare se stessi e gli altri, di inquadrare diverse prospettive del mondo.

10 ottobre 2012

2 - Mario Tronti



"La politica non ci sarà mai,
forse non ci sarà più,
se non si torna a dividere l’uno in due,
al di là di tutte le apparenze sistemiche.. 
Due schieramenti politici, o si motivano su due grandi interessi parziali,
in concorrenza per chi è più capace di curare,
da quel punto di vista,
l’interesse generale,
e confliggono e si contrastano su questo,
oppure sono ognuno una finzione formale
e insieme predispongono una alternativa virtuale.
Una reale alternanza politica chiede grandi alternative tra modelli di società.
La definitiva scomposizione del centro politico chiede la scomposizione politica del centro sociale,
di quell’aggregazione vischiosa,
quotidianamente compromissoria,
di interessi corporativi tra loro solidali
che producono consenso umorale
e che li rappresenta così come sono.
Lo stesso moderatismo va inseguito e rappresentato come tale,
o non va piuttosto dissolto e radicalizzato in opzioni democratiche alternative?....
Scomporre l’idea di gente,
dividere il pensiero unico,
rinviare corpi, ceti, individui ai grandi interessi,
riaggregare la società sui due poli,
è quello che fa,
che può fare,
che deve fare la politica.
La sua vera riforma è questa.
Di qui soltanto diventa possibile il recupero della sua autorità."

09 ottobre 2012

Immaginazione e conoscenza

Pongo alla vostra attenzione una citazione di Mario Tronti 
tratta dal libro: Politica al Tramonto
Si pensa alla politica 
allo stesso modo 
che si fa politica, 
nel conflitto, 
con l'abilità delle mosse 
e la forza delle idee, 
avanzando, 
attaccando 
e aggirando le posizioni dell'avversario,
facendo prigionieri tra i pensieri degli altri
e liberando i propri,
immaginazione e conoscenza,
visione dell'insieme del fronte 
e cura della battaglia 
qui e ora -.
Tutto dovrebbe essere generato da questo travaglio, 
dall'impari lotta tra desiderio e realtà....
avendo come unico fine
il bene comune....
e invece...
Povera Patria.

17 settembre 2012

1 - Pietro Barcellona




"Il tempo nostro è l'unico che abbiamo a disposizione e occorre occuparlo con determinazione e con dignità." (R. Pierantoni).

Questo scritto, di qualche anno fa, è frutto della diuturna frequentazione di due libri del prof. Pietro Barcellona, citati nel post precedente.

Il Chi Siamo è rappresentativo di un legame inscindibile tra l'uomo, il suo pensiero e la terra che lo accoglie;
è bisogno di riconoscimento, di condivisione, di idealità.

Per questo, penso ad un poema dei Veri Siciliani, ma c'è bisogno di aiuto,
occorre dissodare la nostra terra!!!

Sono convinto, con Pietro Barcellona e lo ripeterò fino alla noia,   che la socializzazione è il rimosso della modernità, è siccome la socializzazione è lo spazio entro cui è possibile costruire un ragionamento sulla politica, ergo la modernità tende a negare la politica e l’idea stessa di società. La vocazione autentica della modernità è spoliticizzare la società. Non si discute più della socializzazione, del legame sociale, del modo in cui siamo vincolati ( la Paideia era centrale per i Greci e per i Cristiani, non lo è per noi che vogliamo una scuola “ neutrale e pluralista”.) Con tutte le discrasie che ne conseguono. Come affermava Cornelius Castoriadis, “la politica democratica non è altro che la socializzazione consapevole, il tentativo di padroneggiare il processo nel quale, attraverso l’esperienza quotidiana, si realizza la socializzazione della psiche.” Ci si socializza parlando, discutendo, leggendo il giornale, stringendo le mani, andando al bar… Tutto ciò è in gran parte un accadere che noi viviamo come fatto naturale, come si trattasse di funzioni biologiche, ma in realtà è un processo storico-sociale dal quale è possibile prendere le distanze solo attraverso la riflessione. Questo processo storico – sociale viene negato nella modernità, che riconosce solo l’individuo senza legami. Bisogna però capire che i soli diritti soggettivi rendono vulnerabile chi li invoca, mentre il governo consapevole della socializzazione come sfera che appartiene all’esperienza di sé attraverso gli altri e con gli altri, pone limiti allo strapotere dei forti. La socializzazione è legata allo spazio simbolico e se non c’è spazio simbolico non ci può essere socializzazione. D’altronde lo spazio simbolico è veramente tale se rende presente qualcosa che è assente. L’idea di rappresentanza politica è stata costruita sulla base di riferimenti sociali e collettivi, ma oggi ( proprio perché viviamo una fase di disgregazione) la rappresentanza non funziona più e non c’è spazio simbolico, giacchè non c’è legame tra il singolo e il gruppo. L’origine greca della parola simbolo è sym – ballein, cioè mettere insieme. Il simbolo mette insieme poiché rappresenta la possibilità attraverso una parte ( uno spadaforese) di rappresentare il tutto (gli spadaforesi). Questa idea è stata distrutta dalla modernità attraverso il processo di singolarizzazione: per questo non ci può essere più rappresentanza. Ci siamo talmente impoveriti perché abbiamo affermato l’assurdità che ciascuno si auto garantisce e si autoriconosce: L’altro è scomparso. Senza vera alterità non c’è conflitto vero e senza conflitto vero non c’è trasformazione della realtà e creazione dello spazio simbolico condiviso. Le passioni sono state neutralizzate. La modernità è una rimozione degli affetti, delle passioni, delle paure, quindi , e proprio per questo è una neutralizzazione della creatività. Al posto della piazza, luogo simbolico per eccellenza della città che rimanda al mondo degli affetti, si sostituisce un'altra piazza, questa, telematica, che è una connessione di segni funzionali che attivano altri segni, ma che non mettono in campo nessuna vera corporeità e comportano una scissione tra il corpo appunto e la parola, lo sguardo. L’anonimia non fa altro che accentuare ulteriormente questo distacco, confermare se ce ne fosse bisogno qual è il portato culturale della modernità, la strenua difesa della propria egoistica sicurezza. Da che discende come corollario che urge una rioccupazione degli spazi del vissuto, un riconoscersi, un condividere, anche e proprio a partire da questo luogo virtuale.

11 settembre 2012

Chi siamo



Ti sei accorto di come tutto si sia richiuso in forme sempre più lontane dalla realtà, gli stessi linguaggi sono sempre più privi di radicamento, di contenuti, svuotati di ogni vero legame con l'esserci, tutto è funzionale ad un potere fine a se stesso, specchio del degrado che stiamo vivendo, dell'idiotizzazione delle masse perseguita pervicacemente, contributo più eclatante, alla rovina prossima ventura della nostra civiltà.

Mi chiedo: Come si può ricostruire da queste macerie, un presente condiviso.
Ed ancora: É possibile farlo?
bisognerà capire chi siamo,
ma soprattutto, cosa siamo diventati.
 
E' sotto gli occhi di tutti,
il livello di degenerazione della nostra classe dirigente,
sempre più abbarbicata agli scranni, dedita unicamente a trovare escamotage tecnici, per fottere e fottersi nuovamente, nulla di nuovo sotto il sole, solo profittare degli esigui spazi di consenso, per una sempre più marcata disaffezione della gente e costruirsi una rendita di posizione per farla pesare, quando ci sarà da spartirsi quel che resta di questa martoriata terra.
 
Ectoplasmi, ecco cosa sono...
cosa siamo....
mi specchio, in questi giorni,
nei manifesti che riempiono le strade
e vedo null'altro che vuoti a perdere,
vedo me stesso,
la mia inettitudine,
il mio atavico isolamento,
il mio essere "isola nell'isola",
correo di questo declino umano, sociale, spirituale.
In questo tempo presente,
non si elabora,
non si discute,
solo slogan,
simboli vuoti di un potere senza idee,
i nomi cambiano, senza nessun predicato,
niente....che riempia questo vuoto...
solo autoreferenzialità a go' go' di candidati ridotti a maschere,
artefatte da chili di cerone, dal colorante per capelli, in un finto giovanilismo da “La morte ti fa bella”, per affermare sempre e comunque il dominio della finzione sulla realtà, della materia sullo spirito; questa deriva è umanamente condivisa dai sodali, che per convenienza, creano le premesse per affermarsi sempre e comunque, ineluttabili come la morte del pensiero...masse informi di dominati come millepiedi striscianti gravitano nei palcoscenici maleodoranti di questa pantomima di realtà che è diventata la politica praticata.


Chi siamo:
1 - Pietro Barcellona, filosofo del diritto, Catanese, si staglia come voce fuori dal coro, da tanto tempo ormai, e non teme confronti, figlio di questa terra, sin dai tempi di “Politica e passione”, “Individuo e Comunità"".........etc etc, ha fornito strumenti di elaborazione concettuale che sono stati tanto più fondamentali quanto più sono stati passati sotto silenzio.
Il suo recente avvicinamento a Dio, ha dato ulteriore profondità e spessore alle sue argomentazioni, ne abbiamo un piccolo saggio nello scritto ” Se l'Europa senza Dio si consegna ai tecnici”, che si inserisce a pieno titolo nella tradizione di contributi che si pongono criticamente in contrasto con chi in amore di un non ben identificato progressismo, ritiene ciarpame tutto ciò che fa riferimento alle identità. (continua)


04 settembre 2012

Cambiare si può


Io non ho la concreta percezione
di quanto accade intorno a me,
è come se vivessi in una bolla,
un entità introflessa che mi permette solo di navigare a vista,
preso come sono dalle mie cose,
dalle mie pretestuose espressioni di vita,
tutti voi sapete com’è: battiamo tante strade/piste,
morsi dall’estro, partecipi di una corsa frenetica,
si scorrazza in lungo e in largo,
suonando il clacson,
peee peee,
per farci largo nella confusione,
per farci notare,
e ritagliarci un pezzetto di storia,
la nostra piccola storia, da raccontare, la sera.
Anche in questo momento, quanti di noi ,
mentre scrivo,
nell’apparente quiete della sera,
si stanno dando da fare,
e stanno schiacciando con veemenza,
il peee peee,
come estremo consuetudinario segno di un inabitudine al silenzio
diventata prassi del vivere sociale,
siamo totalmente immersi nel caos
assuefatti dall'assordante rumore di fondo
che si leva dal basso,
dalla pancia del mondo.

Abbiamo abbandonato,
il silenzio della meditazione
immagine del tutto pieno,
simbolo di una conoscenza introspettiva che si apre al mondo.

Cambiare si può, si deve...

Soffermiamoci sulle nostre traiettorie esistenziali,
scaviamo un solco profondo tra noi e la disattenzione
di cui è pieno il nostro quotidiano,
misuriamoci con l’esigenza sempre più pressante di capire cosa siamo diventati,
cosa ci attraversa, ci riempie, ci accoglie, ci condiziona, ci ama.
Stiamo vivendo una piega del tempo,
piena delle nostre contraddizioni,
stiamo permettendo al nulla di irretire la nostra realtà,
di condurla verso l’assenza di ogni prospettiva,
in una lacerazione del senso, frutto purtroppo, e ce lo dobbiamo dire, spesso di improvvisazione, banalissima, miserabile.. improvvisazione
non sanno, non sappiamo quello che facciamo, è storia...
siamo drammaticamente vuoti,
privi di conoscenza...
schiavi della banalità..
.. del male.

Come reagire a tutto questo..
essere presenti, innanzitutto..
e poeticamente abitare la terra e il cielo,
connotando lo spazio esistenziale
misurandolo, circoscrivendolo,
per dare forma compiuta all'esistenza.
Qui il discrimine, cher amis...tra il vivere e il morire...

03 settembre 2012

Il Mito Incapacitante


La contemporaneità è il luogo in cui trova realizzazione la “vita liquida” di cui ha parlato ampiamente il sociologo Zygmunt Bauman.
L’individuo, oggi, è inteso come un entità monodica, irrelata (sic) che vive il proprio “paysage d’action” all’interno di una rete metropolitana vissuta come spazio astratto, quasi come una configurazione mentale.
Ognuno vive un suo personale e distinto spazio materiale/immateriale
ritagliandoselo nella compagine urbana disseminata
e qui interagisce mediante connessioni casuali,
con i “p. d’a” degli altri abitanti con i quali si è in rapporto,
in un punto o in un altro
(uno vale l’altro).
Ciò chiaramente non sottende una dimensione topica dell’agire,
ma risponde ad un nesso in cui la temporalizzazione dello spazio
ha reso ineffettuale e privo di senso,
l’hic et nunc dell’abitare,
ha liquefatto le forme del convivere.
Penso a quanto mi ha detto l’altro giorno un mio amico
sul valore dello sguardo e della parola che gli si accompagna
e a come la piazza sia stata per la nostra civiltà il luogo eminente del confronto,
oggi per ritrovarla abbiamo bisogno di frugare negli scantinati della storia,
l’agorà del dialogo collettivo si trova lì,
sottomessa al mito incapacitante di non sentirsi mai parte di un tutto condiviso.
Ecco il problema.
Il nodo da sciogliere...

31 agosto 2012

Ritrovarci


Il desiderio di condividere con gli altri un luogo, nel tempo, attraverso la costruzione di un comune sentire, di una solidarietà collettiva è abitare la terra.
Una comunità  si mantiene in vita se in essa esistono i luoghi dello scambio, in cui si rappresentano e si governano le istanze di vita dei singoli e dei gruppi, il senso di appartenenza ad una comunità si traduce in senso civico, in rispetto delle idee altrui.
Così attraverso il confronto, anche serrato, nell’agone politico, sentendosi parte integrante di qualcosa di condiviso, si perpetua l’immagine di un paese.
Grande è il peso delle responsabilità che derivano dal cercare di dare risposte di senso che valgano per l’oggi e per il domani.
Fare politica nel senso pieno del termine è difficile, perché bisogna mediare tra le diverse istanze, avendo presente sempre qual è la rotta da seguire:
Ma questo, non è facile oggi, siamo impreparati, siamo stati indotti a scambiare la finzione con la realtà.. abbiamo vissuto senza forti slanci, senza vere passioni e questo ci ha atrofizzato.
La “waste land”, la terra abbandonata, dagli inizi del novecento si staglia indolente all’orizzonte, quasi voglia far abortire sul nascere qualsiasi aspirazione al volo…
Oggi, è totalmente assente la capacità di avere visioni che non siano riferibili agli sterili atti gestiti in maniera contabile dai novelli demiurghi dello sviluppo all'incontrario, ed è a causa dell'abbandono premeditato della nostra tradizione culturale, che pochi si rendono conto dello sfacelo in cui siamo e a cui stiamo andando incontro.
I binari della storia, sono occupati da un treno in corsa chiamato pragmatismo tecnocratico,  che ha involuto i linguaggi nel tentativo, peraltro riuscito, e lo constatiamo giorno per giorno di sostituirsi alla politica intesa in senso classico.
A questo punto, siccome occorre  dare risposte di senso alternative al sistema imperante,  è necessario ri-creare luoghi di decantazione, in cui le istanze: sociali, economiche, storiche, antropiche, etc.. trovino le condizioni elementari per poter essere espresse e sedimentate,  nel tentativo di ricostruire le fondamenta epistemiche di una civile, condivisa, quotidiana convivenza tra gli esseri umani e le cose.
Lo spirito comunitario ci dovrebbe guidare in questo sforzo cognitivo.....perchè  tutto è concatenato ed ogni decisione presa, seppur apparentemente piccola,  ha ripercussioni planetarie enormi.
Abbiamo bisogno di ritrovarci, ne abbiamo bisogno per far crescere la consapevolezza di essere parte integrante di  un tutto armonico, ne abbiamo bisogno per riportare la bellezza nei luoghi, il sorriso nei volti.


29 agosto 2012

CECITA'


Dobbiamo riconoscere come degne di fiducia solo le idee che comportano l'idea che il reale resiste all'idea.”(E. Morin)

Questa estate,  mi sono dato alle letture mirate ed avendo pure voglia di  volare alto,  in primis, mi son letto: “I sette saperi necessari all'educazione del futuro”  di Edgar Morin, in cui si tratta ampiamente  delle degenerazioni della cultura tecnocratica.
Mi sono convinto che  è   la degenerazione del nostro  sistema di pensiero, per come è stato frammentato nella congerie di specializzazioni e di riduzioni,  che ci  sta portando in braghe di tela.
Abbiamo svenduto al finto progresso delle IA,  il nostro retaggio culturale fondato  sulla centralità dell'uomo planetario e sulla riflessione multidimensionale e multidisciplinare.
Questo testo di divulgazione fa da corollario  al Metodo Moraniano  sviluppato in ponderosi tomi,  ed è stato scritto a beneficio di coloro che hanno ancora sete di "conoscenza della conoscenza"  ed amano addentrarsi nelle problematiche di ordine teoretico ed epistemologico, nella convinzione che per risolvere i problemi epocali occorra un pensiero che pensi se stesso non come entità irrelata ma  integrato alla complessità del vivente.
Ecco, quanto ho desunto, con la speranza che vogliate abbeverarvi direttamente alla fonte.
Il pensiero dominante, tecnocratico, applica alle complessità viventi e umane la logica meccanica e determinista delle macchine artificiali, ciò lo porta naturalmente ad escludere tutto quello che non è quantificabile e misurabile, eliminando tutto ciò che rende umano l'umano e cioè le passioni, le emozioni, i dolori, le gioie.
La politica.
Allo stesso modo, l'applicazione di questo principio di riduzione tende ad occultare, obbedendo al paradigma determinista, il rischio, il nuovo, l'invenzione.
La nostra educazione, per come è stata orientata, non implica perchè, in essa, ci è stato insegnato a separare, compartimentare, isolare e non a legare le conoscenze, facendo diventare invisibili i contesti, le complessità, le interazioni tra le diverse discipline.
D'un tratto, ecco il risultato, ma c'è voluto del tempo ed una grande determinazione, i grandi problemi umani sono scomparsi a vantaggio dei problemi tecnici particolari, che sono rimasti tali, perchè è impossibile risolverli senza avere un quadro d'unione.
L'incapacità di organizzare il sapere compartimentato ha portato all'atrofia della disposizione mentale naturale a contestualizzare e a globalizzare.
Purtroppo, viviamo sotto il dominio dell'intelligenza parcellare, meccanicista, disgiuntiva, riduzionista, che spezza il complesso del mondo in frammenti, fraziona i problemi, unidimensionalizza il multidimensionale.
E' un intelligenza miope che finisce per essere cieca, perchè distrugge sul nascere la possibilità di comprensione e di riflessione, riduce le possibilità di un giudizio correttivo, di una prospettiva a lungo raggio.
Così,  più i problemi diventano multidimensionali, più si è incapaci di pensare la loro multidimensionalità; più progredisce la crisi, più progredisce l'incapacità a pensare la crisi; più i problemi diventano planetari, più diventano impensati.
Incapace di considerare il contesto e il complesso planetario, l'intelligenza cieca rende incoscienti e irresponsabili.