24 ottobre 2012

Appunti su Piccola e Grande Politica


La politica, quale arte di governo, si trova di fronte ad un alternativa: limitarsi, più o meno consapevolmente, ad amministrare le cose, lasciandole così come vengono trovate; oppure impegnarsi in un percorso di trasformazione dell’esistente, di innovazione civile oltreché istituzionale, di modernizzazione nelle strutture e nella mentalità. L’impegno per il cambiamento, spesso sbandierato, finora è stato una mera affermazione rituale e retorica perché ha sottovalutato la forza della resistenza inerziale, passiva, e l’attitudine conservatrice che non si esprime attraverso l’esplicita e dichiarata opposizione ma tramite i mille rivoli delle complicazioni burocratiche, delle tentazioni puntualmente compromissorie, della lenta azione erosiva con la quale un atavico scetticismo corrode la volontà di innovare.

Su questa sponda naufraga la piccola politica.

Grande politica è invece quella che, mettendo in preventivo gli ostacoli, schiera in campo energie ulteriori, dotandosi della capacità di sferzare il senso comune verso la percezione che le riforme innovative sono a portata di mano.
Qui si deve incrociare la precisione dell’intervento con la profondità di una visione di ampia portata e di lunga durata: il Progetto, la vocazione ad amministrare “per progetti” consiste nella instancabile azione di raccordo tra rapidità nel decidere ogni singolo problema e l’abilità a mantenere la visione dell’insieme, mettere e mantenere tutto in movimento.

Allora il programma di governo viene efficacemente calato nella produzione legislativa e la politica si incarna nel dinamismo delle norme:
la percezione del cambiamento diventa fatto quotidiano nella vita dei cittadini.

E l’azione di governo lascia un segno duraturo nella storia delle nostre città.

La cornice di un progetto dunque rappresenta un elemento fondamentale entro il quale muoversi, servendosene come una bussola nell’affrontare le difficoltà delle questioni settoriali.

“ Temo di più l’impotenza che non il potere della politica (Mario Tronti);

l’obiettivo polemico non è la politica che si fa potere ma un potere sempre meno politico.
Il governo è sempre più amministrazione delle cose della casa e meno capacità di dirigere i processi sociali.
La politica non cambia più le vite: la gestione politica del potere non è più un obiettivo.

La rottura tra la politica ed il potere: questo apre la strada ad una ricerca comune di un linguaggio altro della politica. Allora la cultura, come “eros di coloro che creano”, deve inventare nuove parole e nuove immagini.

In questa prospettiva di mobilitazione civile la cultura gioca un ruolo decisivo, a patto che venga sottratta alla sterilità accademica, alla contemplazione di se stessa, alle ricadute nel pessimismo che avvelenano e screditano la produzione intellettuale.

L’immaginazione culturale ritrova un ruolo solo se è in grado di sedurre all’azione, contrastare la rassegnazione e il naturale logorio dell’abitudinarietà, dimostrare con assoluto e splendente rigore che l’orizzonte del cambiamento è possibile, qui ed ora. Non è ammesso nessun sogno impotentemente idealistico, nessun rimpianto, nessun rinvio a chissà quale domani.
Cultura come com-prensione, presa sulle cose: immagine tutta politica, polemica, efficace.

L’azione politico amministrativa trova un ruolo solo se ha l’ambizione di modificare la realtà sociale, di velocizzare la modernizzazione a ritmo sostenuto, di eccedere un ruolo tecnico proprio portando anche la tecnica a supportare la realizzazione dei grandi progetti.

Non è ammessa nessuna contiguità con i modelli amministrativi precedenti (devono cambiare persino i nomi dei ministeri e degli assessorati), nessuna litania depolarizzante sulla pretesa neutralità dell’azione di governo, nessun dubbio rinunciatario circa la capacità dei cittadini di condividere e sostenere le grandi aspettative quando, al contrario, la passione politica è ancora così diffusa da rappresentare il tratto distintivo più rilevante del laboratorio politico italiano.

Dice James Hillman: “ L’inclusione di ciò che è “eccessivo e anormale” intessendolo nel quotidiano: è questa l’arte della coscienza politica”.

Dunque l’accento insiste sulla tessitura: non nel ruolo costitutivamente disperato dell’intellettuale che testimonia, con didascalica acidità, a favore di nobili e imprecisabili valori traditi dalla classe dirigente ma attitudine, maturata nel rigore appassionato, a stare nella politica indicandovi con linguaggio ad essa consonante i significati ulteriori e insoliti già presenti in ciò che sembra abituale e scontato.
Indicare i varchi puntualmente, sconnettendo e riconnettendo un filo dopo l’altro, anziché proclamare con un unico gesto retorico la pretesa insufficienza del reale.

Dice Hannah Arendt: ”questa mancanza di chiarezza concettuale e di precisione rispetto alla realtà e alle esperienze esistenti è stata da allora il peggior male della storia occidentale fin da quando, sulla scia dell’età Periclea, gli uomini d’azione si separarono dagli uomini di pensiero e il pensiero cominciò a emanciparsi completamente dalla realtà, specialmente dalla realtà e dall’esperienza dei fatti politici. La grande speranza dell’età moderna è stata fin dall’inizio che questa frattura si potesse sanare…”

Dice Ezra Pound: ”Un buon governo è quello che opera tenendo conto di tutto ciò che di meglio è pensato e conosciuto. E il miglior governo è quello che traduce il più rapidamente possibile il miglior pensiero in azione”.

Nella società italiana, in movimento, c’è molto di nuovo e di interessante: si tratta di dare rappresentanza ed espressione a questo nuovo.

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