In Italia ci si misura, con la domanda sempre più pressante di un uso del territorio finalizzato alla valorizzazione delle risorse relative al patrimonio storico e sul cosa fare di questo patrimonio che va in rovina.
Bisogna in prima battuta mettere i paletti su quanto è materia della conservazione, individuando gli ambiti di pertinenza disciplinare che costituiscono la ragion d’essere di un approccio conservativo, di una “Conservazione attiva” capace di una lettura organica della realtà.
Per conoscere l’essenza di un monumento, cioè il suo rapporto col tempo vissuto e con la memoria, cosi come F. Choay definisce la funzione filosofica, si deve fare riferimento all’operazione maieutica del di-segno, come immagine del tutto-pieno (Dezzi- Bardeschi) carico di quella simbolicità narrativa propria del reperto storico che stabilisce un nesso con la Continuità del tempo storico.
Bisogna partire dal di-segno, appunto, come processo conoscitivo capace di sintetizzare la complessità dell’oggetto fino all’individuazione delle scale d’intervento pìù congruenti alla effettiva valorizzazione del patrimonio storico.
Il di-segno nella “conservazione attiva” è normativo, necessario per la valutazione in ordine allo stato di fatto, sintagma diacronico, sintesi presentificata di una processualità innescata dallo scorrere del tempo.
Il di-segno è attimo rubato al divenire, Simulacro.
Esso ferma lo scorrere del tempo e fissa l’immagine ad un tempo che già non è più.
Se si limita a raccontare la storia dell’apparire, del sembiante, è povera cosa, qualsiasi tentativo di normare a partire da un ipostasi superficiale, è alienante e riduttivo.
Solo il di-segno che dimentica l’oggetto, che lo astrae, diventa sintesi conoscitiva.
Di-segno che seziona, che taglia, che scarnifica, che cuce.
Operazione chirurgica per andare alla radice delle cose.
Conoscere significa com-prendere.
Il di-segno come conoscenza implica, coinvolge, aggiunge, mai semplifica anzi complica, in quanto esiste e comunica solo nella complessità.
Le strategie operative che si innescano a partire dall’evidenza oggettivata dal disegno, appartengono poi al nocumento più o meno elevato che si vuol portare al flusso degli accadimenti, cioè a come la soggettività appartenente a questa sezione temporale vuole incidere sulla realtà.
E’ necessario, onde evitare che la variabile soggettiva porti, come sopra detto, nocumento all’oggi, rifondare una Scuola che riconosca le proprie radici, se ne riappropri, dopo esserne stata spodestata e valorizzi le proprie specificità territoriali e culturali secondo gradi di riflessione che la pongano non come semplice recettore di tradizioni autoctone ma come centro simbolico del mondo.
Ritornare alla Sacralità dell’agire.
Scuola come antenna ricevente-trasmittente del territorio per captare le continuità e le discontinuità topologiche, la complessità morfogenetica derivante dall’antropizzazione, etc..
Scuola che istituisca il paesaggio come entità culturale, attraverso uno studio culturale, ovvero frutto di un approccio integrato e multidisciplinare.
Le problematiche inerenti la conservazione, così si dipanano e hanno un loro momento di sintesi nell’approccio multidisciplinare alle varie scale, nel quale non si avvalora la razionalità uniformante del tutto uguale ma si dà spazio alla diversità.
In questa chiave di lettura il disegno diventa scavo che fa esistere l’oggetto come valore aggiunto, come originale ed originario prodotto della creatività che costantemente si ri-crea nel dominio della conoscenza.
Il progetto di-segnato diventa un tentativo di riflessione costruttiva sulle trame che compongono l’ordito della storia (istos), per innescare un processo evolutivo, tendente alla riconquista del passato, ed al risveglio di una memoria collettiva, fondamentale nella riappropriazione di una identità storica.
Proprio la ricerca della memoria che è l’elemento unificatore di realtà e culture internazionali, nel progetto di-segno che si esplica nella complessità, diventa matrice di una nuova metodologia d’approccio alle cose.
La questione importante si gioca però sul piano politico.
Bisogna analizzare le problematiche poste in essere a partire dal riconoscimento di un patrimonio storico comune che è il dato astratto da cui il legislatore si muove per normare e che rappresenta l’incongruenza di qualsiasi attitudine semplificatoria fino ad arrivare al riconoscimento del patrimonio come sommatoria concreta di luoghi, di cose, di persone, ingestibile perché mai compreso nella sua totalità, mai realmente e dunque operativamente diventato patrimonio comune.
Sono questi i paradigmi della pochezza culturale di un paese che non riconosce la propria storia, da ciò si ha come sottoprodotto della intellighenzia l’insufficienza delle leggi e soprattutto quella degli attori che agiscono in questo settore, i quali in un coro di autolegittimazione operano lo scempio del patrimonio storico.
Tale superficialità politico – culturale impone un “rappelle a l’ordre”, la necessità di un confronto serrato per analizzare e proporre, per dare senso al divenire.
Bisogna in prima battuta mettere i paletti su quanto è materia della conservazione, individuando gli ambiti di pertinenza disciplinare che costituiscono la ragion d’essere di un approccio conservativo, di una “Conservazione attiva” capace di una lettura organica della realtà.
Per conoscere l’essenza di un monumento, cioè il suo rapporto col tempo vissuto e con la memoria, cosi come F. Choay definisce la funzione filosofica, si deve fare riferimento all’operazione maieutica del di-segno, come immagine del tutto-pieno (Dezzi- Bardeschi) carico di quella simbolicità narrativa propria del reperto storico che stabilisce un nesso con la Continuità del tempo storico.
Bisogna partire dal di-segno, appunto, come processo conoscitivo capace di sintetizzare la complessità dell’oggetto fino all’individuazione delle scale d’intervento pìù congruenti alla effettiva valorizzazione del patrimonio storico.
Il di-segno nella “conservazione attiva” è normativo, necessario per la valutazione in ordine allo stato di fatto, sintagma diacronico, sintesi presentificata di una processualità innescata dallo scorrere del tempo.
Il di-segno è attimo rubato al divenire, Simulacro.
Esso ferma lo scorrere del tempo e fissa l’immagine ad un tempo che già non è più.
Se si limita a raccontare la storia dell’apparire, del sembiante, è povera cosa, qualsiasi tentativo di normare a partire da un ipostasi superficiale, è alienante e riduttivo.
Solo il di-segno che dimentica l’oggetto, che lo astrae, diventa sintesi conoscitiva.
Di-segno che seziona, che taglia, che scarnifica, che cuce.
Operazione chirurgica per andare alla radice delle cose.
Conoscere significa com-prendere.
Il di-segno come conoscenza implica, coinvolge, aggiunge, mai semplifica anzi complica, in quanto esiste e comunica solo nella complessità.
Le strategie operative che si innescano a partire dall’evidenza oggettivata dal disegno, appartengono poi al nocumento più o meno elevato che si vuol portare al flusso degli accadimenti, cioè a come la soggettività appartenente a questa sezione temporale vuole incidere sulla realtà.
E’ necessario, onde evitare che la variabile soggettiva porti, come sopra detto, nocumento all’oggi, rifondare una Scuola che riconosca le proprie radici, se ne riappropri, dopo esserne stata spodestata e valorizzi le proprie specificità territoriali e culturali secondo gradi di riflessione che la pongano non come semplice recettore di tradizioni autoctone ma come centro simbolico del mondo.
Ritornare alla Sacralità dell’agire.
Scuola come antenna ricevente-trasmittente del territorio per captare le continuità e le discontinuità topologiche, la complessità morfogenetica derivante dall’antropizzazione, etc..
Scuola che istituisca il paesaggio come entità culturale, attraverso uno studio culturale, ovvero frutto di un approccio integrato e multidisciplinare.
Le problematiche inerenti la conservazione, così si dipanano e hanno un loro momento di sintesi nell’approccio multidisciplinare alle varie scale, nel quale non si avvalora la razionalità uniformante del tutto uguale ma si dà spazio alla diversità.
In questa chiave di lettura il disegno diventa scavo che fa esistere l’oggetto come valore aggiunto, come originale ed originario prodotto della creatività che costantemente si ri-crea nel dominio della conoscenza.
Il progetto di-segnato diventa un tentativo di riflessione costruttiva sulle trame che compongono l’ordito della storia (istos), per innescare un processo evolutivo, tendente alla riconquista del passato, ed al risveglio di una memoria collettiva, fondamentale nella riappropriazione di una identità storica.
Proprio la ricerca della memoria che è l’elemento unificatore di realtà e culture internazionali, nel progetto di-segno che si esplica nella complessità, diventa matrice di una nuova metodologia d’approccio alle cose.
La questione importante si gioca però sul piano politico.
Bisogna analizzare le problematiche poste in essere a partire dal riconoscimento di un patrimonio storico comune che è il dato astratto da cui il legislatore si muove per normare e che rappresenta l’incongruenza di qualsiasi attitudine semplificatoria fino ad arrivare al riconoscimento del patrimonio come sommatoria concreta di luoghi, di cose, di persone, ingestibile perché mai compreso nella sua totalità, mai realmente e dunque operativamente diventato patrimonio comune.
Sono questi i paradigmi della pochezza culturale di un paese che non riconosce la propria storia, da ciò si ha come sottoprodotto della intellighenzia l’insufficienza delle leggi e soprattutto quella degli attori che agiscono in questo settore, i quali in un coro di autolegittimazione operano lo scempio del patrimonio storico.
Tale superficialità politico – culturale impone un “rappelle a l’ordre”, la necessità di un confronto serrato per analizzare e proporre, per dare senso al divenire.
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