14 dicembre 2007

IL MUSEO SCARPIANO


1.
Museo di Castelvecchio a Verona.
Carlo Scarpa, un architetto, tra i più raffinati e colti, capace come pochi di controllare il progetto alle varie scale, si confronta con il restauro di un castello trecentesco, variamente risistemato in epoche diverse, che nell’ultimo capitolo di continue modifiche subisce un ripristino con aggiunte “in stile”, siamo negli anni che vanno dal 1924 al 1926, l’intervento è di stampo marcatamente Beltramiano sia nei propositi che nei risultati.
La conoscenza della fabbrica avviene attraverso una serie interminabile di disegni che analizzano a fondo le emergenze e verificano i principi che sottendono alla forma architettonica, come in un teorema, questa ricerca “sapiente” lo porta, a definire il rapporto del castello con la città e, nell’evidenza dell’ipotesi progettuale, a ritessere nuovi rapporti con l’intorno assorbendone le suggestioni e potenziandone le vocazioni.
Nello studio delle murature, Scarpa vive le stratificazioni storiche come tradimento dei principi architettonici originari della fabbrica.
Egli è alla ricerca della purezza, non assoluta, sempre ridondante, rarefatta, della purezza contaminata dal verbo, dal lessico dell’architetto che si diverte a compitare forme nello spazio, che fa parlare i materiali nella loro apparente afasia, li fa parlare con il linguaggio dei luoghi .
L’inventio progettuale offre l’unica possibilità di riscatto alla storia, essa è data dall’attualizzazione del senso e del significato dei rapporti spaziali giunti a noi dal passato.
All’originarietà involuta e tutta presunta dello scrape murario , attuato in barba a qualsiasi codice del buon restauro, che riporta i muri alla loro nudità primigenia e riscopre miticamente le antiche pietre, Scarpa contrappone l’uso:
delle lastre di Prun come rivestimento,
del cemento,
della calce,
dell’acciaio
e dello stucco colorato
allo scopo di ridefinire l’alfa e l’omega di Castelvecchio.
Per un architetto attento alla forma che si sostanzia attraverso la ricerca materica, il riportare le "forme belle" alla loro originaria impurità, è fornire all’immaginario collettivo l’occasione per un esaltazione della visione-tattile e significa anche andare a ridefinire la cifra dei nuovi rapporti spaziali scaturenti dalla nuova funzionalizzazione museale.
Il restauro è creativo, perche liberamente sceglie dal repertorio ipostatizzato della storia, ciò che è da salvare, imponendo la legge della contemporaneità, perché alla fine ciò che deve prevalere è la necessità di ripartire di nuovo, sempre, dall’inizio.
In my beginning is my end.
Il museo con le sue trovate scenografiche, le sue raffinate spazialità ha perduto la sua identità di Castello, non a caso lo chiamiamo Museo.
IL con/testo vive così di una rinnovata vitalità grazie alla regia sapiente di Scarpa che disvela i volumi, recuperando un "imago urbis Venexiana", che media tra le spazialità aperte del campo e le contrazioni violente delle calli (strettoie), ri-create a bella posta per rendere risonanti i luoghi, intendendo così rigenerare un brano di Città.
L'architetto è creatore di scenografie esaltanti.
La sua lettura è unificante, il suo linguaggio diventa codice, cifra del tutto.
L'architetto è attento al ricco colloquiare delle cose del passato, e ne trattiene il flusso, rapprendendolo in braci di cura , rinnovando attraverso i segni del suo passaggio la sintassi delle cose, riportando nel libro di bordo della storia, nuove prospettive di crescita sociale, non lasciando il luogo uguale a se stesso, modificandone la struttura, la pelle, le trame, i contorni.
L'architetto è conservatore, quando nel suo rifiuto di qualsiasi falsificazione della storia accetta di intervenire con l’autorità del suo essere sempre creatore di spazi, e con l’originalità derivante dalla sua sensibilità artistica, sovrappone alle storie precise già dettagliate, il suo contributo altrettanto definito, preciso e dettagliato, alla ricerca di affinità elettive, che arrichiscano e non confondano il presente col passato.

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