Siamo in piena campagna elettorale Casini è contro Berlusconi che è contro Veltroni che è contro Fini che è contro..... bla bla e ri/bla...
io per non distrarvi dai superiori contrasti, sommessamente vi annuncio l'apertura della prima/vera - Recessione all'Italiana del secondo millennio, ad onor del vero è già da un pò di tempo che se ne parla come di un pallido riflesso dello tsunami americano dei mutui subprime e di altre congiunture internazionali....
Essa si staglia all'orizzonte e colora a fosche tinte il nostro futuro....
Gli anni a venire saranno segnati da quanto sta accadendo, bisogna allora attrezzarsi intellettualmente e provare per quanto possibile a veleggiare in questo mare in tempesta nel tentativo di intravedere possibili approdi.
Cari amici, la crisi è iniziata e la sua virulenza è ancora blandamente percepibile.
Il meccanismo entropico s'è innescato e non si può ostacolare, in atto nel sistema si cerca di inoculare meri palliativi ad effetto placebo, sub specie di iniezioni di liquidità, ma la crisi sta per colpire soprattutto chi non ha saputo premunirsi in tempo degli anticorpi.
E' il sistema economico mondiale che sta collassando, in quanto frutto d'un ottimistico artificio privo di consistenza reale, la crescita illimitata, frutto che era teso, in maniera esclusiva, a massimizzare i profitti di pochi a discapito dell'impoverimento di molti.
La responsabilità è da imputare primariamente all'allegra gestione dell'economia, della politica interessata ad avvantaggiare esclusivamente le lobbies di potere.
Per ciò che mi riguarda sento che occorre misurarsi con questa drammatica realtà, per capire.
Rileggere la storia, per comprenderla e farne tesoro, propongo così alla vostra attenzione un illuminante testo di Andrea Mazzalai (tratto dal blog: Iceberg Finanza), che cerca di ricucire il tessuto della storia mettendo in relazione ciò che accade oggi a ciò che si manifestò nel lontano 1929 ed anche in anni più recenti, le affinità che si riscontrano sono a dir poco inquietanti.
buona lettura.
-...."il primo passo verso il baratro fu dato dalla Creazione del credito a fini prettamente speculativi, al di fuori del tradizionale circuito finanziario. "nel ’29 infatti lo stesso sistema bancario non avendo particolari controlli, poté sviluppare con facilità una politica di credito facile e di speculazioni legate alla borsa, attraverso acquisti diretti o acquisizioni, favorendo operazioni allo scoperto che provocarono il fallimento di molti privati cittadini o delle stesse industrie, ritirando improvvisamente le linee di credito. "
-...."il primo passo verso il baratro fu dato dalla Creazione del credito a fini prettamente speculativi, al di fuori del tradizionale circuito finanziario. "nel ’29 infatti lo stesso sistema bancario non avendo particolari controlli, poté sviluppare con facilità una politica di credito facile e di speculazioni legate alla borsa, attraverso acquisti diretti o acquisizioni, favorendo operazioni allo scoperto che provocarono il fallimento di molti privati cittadini o delle stesse industrie, ritirando improvvisamente le linee di credito. "
Il crollo di Wall Street provocò quindi una serie di fallimenti a catena, dai mercati ai privati ed alle industrie, quindi al commercio, ritornando inevitabilmente alle banche.
“In quelli anni di prosperità economica gli uomini conquistati dalla visione di una prosperità ancora maggiore, estendentesi all’infinito, capivano naturalmente l’importanza di essere ben provvisti di capitale d’esercizio ed impianti, Non era un tempo da spilorci, inoltre era un’epoca di consolidamento, e ogni nuova fusione richiedeva, inevitabilmente, una certa quantità di nuovo capitale ed una nuova emissione di titoli per farvi fronte. Bisogna parlare a questo punto, del movimento di fusione degli anni venti.”
Con queste parole John Kenneth Galbraith introduce il capitolo relativo alle fusioni ed incorporazioni avvenute negli anni precedenti la Grande Depressione.
Nel '29, lo stesso sistema bancario non avendo particolari controlli, poté sviluppare con facilità una politica di credito facile e di speculazioni legate alla borsa, attraverso acquisti diretti o acquisizioni, favorendo operazioni allo scoperto attraverso il margine di debito consistente in affidamenti atti a speculare in borsa.
“In quelli anni di prosperità economica gli uomini conquistati dalla visione di una prosperità ancora maggiore, estendentesi all’infinito, capivano naturalmente l’importanza di essere ben provvisti di capitale d’esercizio ed impianti, Non era un tempo da spilorci, inoltre era un’epoca di consolidamento, e ogni nuova fusione richiedeva, inevitabilmente, una certa quantità di nuovo capitale ed una nuova emissione di titoli per farvi fronte. Bisogna parlare a questo punto, del movimento di fusione degli anni venti.”
Con queste parole John Kenneth Galbraith introduce il capitolo relativo alle fusioni ed incorporazioni avvenute negli anni precedenti la Grande Depressione.
Nel '29, lo stesso sistema bancario non avendo particolari controlli, poté sviluppare con facilità una politica di credito facile e di speculazioni legate alla borsa, attraverso acquisti diretti o acquisizioni, favorendo operazioni allo scoperto attraverso il margine di debito consistente in affidamenti atti a speculare in borsa.
In quegli anni quando un privato comperava delle azioni, non doveva necessariamente disporre di tutto il capitale. Come scritto nel libro di Fabrizio Galimberti “Economia e Pazzia” lo strumento preferito era il “riporto”, una forma di prestito tuttora presente che consente di ricevere un prestito per un valore del 80/90 % del capitale impiegato nell'acquisto di azioni. I “caller loans” erano concessi non solo dalle banche, ma anche dalle imprese che partecipavano alla frenesia speculativa attraverso l'impiego delle proprie disponibilità liquide. Oggi in maniera impropria potremo paragonarli ai capitali impiegati nelle operazioni di acquisizioni in atto nel settore del private equity ed eventualmente ad operazioni ad alto rischio nelle acquisizioni e fusioni. Secondo Galimberti il denominatore comune delle crisi finanziarie è il ricorso alla “leva” qualunque essa sia, la possibilità di moltiplicare le fonti di guadagno con gli strumenti finanziari senza rischiare i “rigori” dell'economia reale. Il cosiddetto “margin call” ovvero chiamata del margine consentiva di tenere sotto controllo con il margine del 10 % il prestito, ma nascondeva il rischio evidente che in caso di collasso o panico le perdite sarebbero state amplificate.
Nel canyon della finanza, l'eco delle "margin calls" e del "margin debt" stà trascinando nel baratro progressivamente, alcune delle maggiori istituzioni finanziarie unitamente ai principali attori privati di questa epoca irrazionale ovvero Hedge & Private Equity.
Oggi nel sistema è in atto un processo di decellerazione finanziaria globale amplificato dai margin calls, che ha spinto il Fondo Monetario Internazionale a prospettare un impiego di risorse pubbliche, attraverso l'utilizzo di fondi pubblici per salvaguardare l'intero sistema finanziario. In sostanza il tramonto infuocato dell'ortodossia del mercato libero dall'intervento pubblico, la socializzazione delle perdite dopo la privatizzazione degli utili.
Durante gli anni della Grande Depressione tutte le politiche di protezionismo e barriere doganali contribuirono al prolungamento degli effetti depressivi del grande crollo di Wall Street. Oggi inevitabilmente, nelle sale del Congresso Americano continuano ad eccheggiare improvvisi richiami a politiche economiche che contengono il seme del protezionismo.
In quel periodo con le esportazioni di capitali l’America aveva contribuito a mantenere in equilibrio la bilancia internazionale dei pagamenti e appena scoppiata la crisi iniziò il ritiro dei capitali a breve termine. Questa tendenza al ritiro dal mercato internazionale, fu rafforzata dalla politica doganale che gli Stati Uniti perseguirono con l’introduzione della famosa HAWLEY-SMOOT a partire dal giugno 1930 che fu duramente protezionistica e costituì un pericoloso precedente. Ciò che spinse molti paesi a scegliere la via dell’isolazionismo economico fu l’asprezza di quella crisi. ( fonte: “Le trasformazioni sociali” di Gabriele De Rosa )
Per comprendere come la Storia sia una maestra di Vita straordinariamente inascoltata, basta riprendere per un attimo le vicissitudine della US.Savings & Loan Crisis degli anni 80 il più grande scandalo finanziario degli Stati Uniti, principalmente nel settore di ipoteca residenziale supportato da una legislazione risalente al lontano 1930. L’avventura all’interno del mercato immobiliare commerciale altamente ciclico con l’allentamento dei campioni di sottoscrizione, le valutazioni del valore di un immobile che non tenevano conto delle probabili discese di prezzo prendendo in visione solo alternative speculative al rialzo, la pratica di aggiungere dei pagamenti di interessi non saldati in conto capitale e prestiti alterati usando l’accreditamento della banca per persuadere gli investitori a comprare il prestito deteriorato e gli investimenti della banca a valori gonfiati ricorda, anche se in forme differenti la vicenda subprime. Nel febbraio del 1989 l’attuale presidente degli Stati Uniti George Bush annunciava che il Governo sarebbe intervenuto per salvare l’industria finanziaria delle S & L naturalmente a spese dei contribuenti con la crisi finanziaria più costosa che la storia ricordi. Non bastasse la crisi americana, basta volare dall’altra parte dell’oceano per scoprire le principali cause e caratteristiche delle “ JUSEN” giapponesi che provocarono la crisi immobiliare giapponese degli anni 80. Le jusen erano istituti finanziari non bancari costituiti da joint ventures di grandi banche che finanziavano i loro prestiti tramite prestiti ottenuti dalle banche fondatrici. Tali banche erano specializzate nell’erogazione di mutui ipotecari create con l’obiettivo di soddisfare la crescente domanda di prestiti per l’acquisto di beni immobili. Nel corso degli anni ottanta con l’emergere naturale della bolla speculativa il credito, si diresse verso le società immobiliari, indirizzando verso quest’ultime clienti potenzialmente insolventi in quanto le banche fondatrici non volevano assumersi il rischio diretto delle operazioni. Gran parte delle attività di prestito era puramente speculativa, sulla scia di prezzi che crescevano in modo esponenziale concessi nella convinzione che i valori avrebbero continuato a crescere all’infinito. Per concludere le “jusen” non erano soggette alle stesse regole vigenti nel settore bancario e una diminuzione nel valore dei beni immobiliari avrebbe causato seri problemi in quanto la garanzia era riposta nelle proprietà immobiliari.
Ora inevitabilmente è impressionante la similitudine totale con le vicende americane a tal punto da potersi definire una “JUSEN SUBPRIME” made in Japan.
Come dice Yunus uno dei pionieri del Microcredito, premio Nobel per la Pace quando un'intuizione di tale portata meriterebbe perlomeno il premio Nobel all'Economia alla faccia di coloro che hanno affondato il LTCM, dicevo come dice Yunus la povertà potrebbe essere sconfitta se le istituzioni finanziarie, pubbliche o private, governative o internazionali, fossero capaci di sfruttare l’immensa potenzialità di ogni essere umano!”
Prosegue Yunus: “Ho come la sensazione che l’economia basi le sue leggi su presupposti che ignorano gli esseri umani. Tratta gli uomini come macchine e nega gli elementi essenziali della natura umana. Considera gli imprenditori come uomini dalle capacità eccezionali e così ignora le potenzialità della gran massa dell’umanità.
L’economia ama definirsi come una scienza sociale ma non lo è!
Parla di lavoro e manodopera, non parla di uomini , donne e bambini quindi non può ignorare l’ambiente che pretende di analizzare!”
Nel canyon della finanza, l'eco delle "margin calls" e del "margin debt" stà trascinando nel baratro progressivamente, alcune delle maggiori istituzioni finanziarie unitamente ai principali attori privati di questa epoca irrazionale ovvero Hedge & Private Equity.
Oggi nel sistema è in atto un processo di decellerazione finanziaria globale amplificato dai margin calls, che ha spinto il Fondo Monetario Internazionale a prospettare un impiego di risorse pubbliche, attraverso l'utilizzo di fondi pubblici per salvaguardare l'intero sistema finanziario. In sostanza il tramonto infuocato dell'ortodossia del mercato libero dall'intervento pubblico, la socializzazione delle perdite dopo la privatizzazione degli utili.
Durante gli anni della Grande Depressione tutte le politiche di protezionismo e barriere doganali contribuirono al prolungamento degli effetti depressivi del grande crollo di Wall Street. Oggi inevitabilmente, nelle sale del Congresso Americano continuano ad eccheggiare improvvisi richiami a politiche economiche che contengono il seme del protezionismo.
In quel periodo con le esportazioni di capitali l’America aveva contribuito a mantenere in equilibrio la bilancia internazionale dei pagamenti e appena scoppiata la crisi iniziò il ritiro dei capitali a breve termine. Questa tendenza al ritiro dal mercato internazionale, fu rafforzata dalla politica doganale che gli Stati Uniti perseguirono con l’introduzione della famosa HAWLEY-SMOOT a partire dal giugno 1930 che fu duramente protezionistica e costituì un pericoloso precedente. Ciò che spinse molti paesi a scegliere la via dell’isolazionismo economico fu l’asprezza di quella crisi. ( fonte: “Le trasformazioni sociali” di Gabriele De Rosa )
Per comprendere come la Storia sia una maestra di Vita straordinariamente inascoltata, basta riprendere per un attimo le vicissitudine della US.Savings & Loan Crisis degli anni 80 il più grande scandalo finanziario degli Stati Uniti, principalmente nel settore di ipoteca residenziale supportato da una legislazione risalente al lontano 1930. L’avventura all’interno del mercato immobiliare commerciale altamente ciclico con l’allentamento dei campioni di sottoscrizione, le valutazioni del valore di un immobile che non tenevano conto delle probabili discese di prezzo prendendo in visione solo alternative speculative al rialzo, la pratica di aggiungere dei pagamenti di interessi non saldati in conto capitale e prestiti alterati usando l’accreditamento della banca per persuadere gli investitori a comprare il prestito deteriorato e gli investimenti della banca a valori gonfiati ricorda, anche se in forme differenti la vicenda subprime. Nel febbraio del 1989 l’attuale presidente degli Stati Uniti George Bush annunciava che il Governo sarebbe intervenuto per salvare l’industria finanziaria delle S & L naturalmente a spese dei contribuenti con la crisi finanziaria più costosa che la storia ricordi. Non bastasse la crisi americana, basta volare dall’altra parte dell’oceano per scoprire le principali cause e caratteristiche delle “ JUSEN” giapponesi che provocarono la crisi immobiliare giapponese degli anni 80. Le jusen erano istituti finanziari non bancari costituiti da joint ventures di grandi banche che finanziavano i loro prestiti tramite prestiti ottenuti dalle banche fondatrici. Tali banche erano specializzate nell’erogazione di mutui ipotecari create con l’obiettivo di soddisfare la crescente domanda di prestiti per l’acquisto di beni immobili. Nel corso degli anni ottanta con l’emergere naturale della bolla speculativa il credito, si diresse verso le società immobiliari, indirizzando verso quest’ultime clienti potenzialmente insolventi in quanto le banche fondatrici non volevano assumersi il rischio diretto delle operazioni. Gran parte delle attività di prestito era puramente speculativa, sulla scia di prezzi che crescevano in modo esponenziale concessi nella convinzione che i valori avrebbero continuato a crescere all’infinito. Per concludere le “jusen” non erano soggette alle stesse regole vigenti nel settore bancario e una diminuzione nel valore dei beni immobiliari avrebbe causato seri problemi in quanto la garanzia era riposta nelle proprietà immobiliari.
Ora inevitabilmente è impressionante la similitudine totale con le vicende americane a tal punto da potersi definire una “JUSEN SUBPRIME” made in Japan.
Come dice Yunus uno dei pionieri del Microcredito, premio Nobel per la Pace quando un'intuizione di tale portata meriterebbe perlomeno il premio Nobel all'Economia alla faccia di coloro che hanno affondato il LTCM, dicevo come dice Yunus la povertà potrebbe essere sconfitta se le istituzioni finanziarie, pubbliche o private, governative o internazionali, fossero capaci di sfruttare l’immensa potenzialità di ogni essere umano!”
Prosegue Yunus: “Ho come la sensazione che l’economia basi le sue leggi su presupposti che ignorano gli esseri umani. Tratta gli uomini come macchine e nega gli elementi essenziali della natura umana. Considera gli imprenditori come uomini dalle capacità eccezionali e così ignora le potenzialità della gran massa dell’umanità.
L’economia ama definirsi come una scienza sociale ma non lo è!
Parla di lavoro e manodopera, non parla di uomini , donne e bambini quindi non può ignorare l’ambiente che pretende di analizzare!”
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