21 maggio 2008

CHORA

Ricche, numerose, inesauribili, sono le interpretazioni che informano la significazione o il valore di chora. Esse consistono sempre a dare forma ad essa, determinandola, essa che, tuttavia, non può offrirsi o promettersi se non sottraendosi ad ogni determinazione, a tutte le marche o impressioni alle quali noi la diciamo esposta: a tutto ciò che vorremmo darle senza sperare di ricevere niente da essa... Ma quanto avanziamo in questa sede intorno all'interpretazione della chora - del testo di Platone sulla chora - parlando della forma data o ricevuta, di marca o impressione, di conoscenza come informazione, etc., tutto ciò attinge già a quanto il testo stesso dice della chora, al suo dispositivo concettuale ed ermeneutico. Ciò che, per esempio, per l'esempio, avanziamo riguardo alla “chora” nel testo di Platone riproduce o riporta semplicemente, con tutti i suoi schemi, il discorso di Platone circa la chora. Ciò anche in questa stessa frase dove mi sono appena servito della parola schema. Gli schemata sono le figure staccate ed impresse nella chora, le forme che l'informano. Esse ritornano a lei, senza che le appartengano. Delle interpretazioni darebbero, dunque, forma a “chora”, lasciandovi la marca schematica della loro impronta e depositandovi il sedimento del loro apporto. E, tuttavia, “chora” sembra non lasciarsi neanche raggiungere o toccare, ancor meno scalfire, soprattutto sembra non farsi esaurire da questi tipi di traduzione tropica o interpretativa. Non si può neanche dire che essa fornisca loro il supporto d'un substrato o d'una sostanza stabile. Chora non è un soggetto. Non è il soggetto. Né il supporto (subjectile). I tipi ermeneutici non possono informare, non possono dar forma alla chora se non nella misura in cui, inaccessibile, impassibile, “amorfa” (amorphon, 51a) e sempre vergine, di una verginità radicalmente ribelle all'antropomorfismo, essa sembra ricevere questi tipi e dar luogo ad essi. Ma se Timeo impiega il nome di ricettacolo (dechomenon) o luogo (chora), questi nomi non designano un'essenza, l'essere stabile di un eidos, giacche chora non è ne dell'ordine dell' eidos, né dell'ordine delle mimesi, delle immagini dell'eidos, le quali si imprimono in essa - che così non è, non appartiene ai due generi d'essere conosciuti o riconosciuti. Essa non è e questo-non-essere non può che annunciarsi, vale a dire non lasciarsi prendere o concepire, attraverso gli schemi antropomorfici del ricevere o del dare. Chora non è, soprattutto, un supporto o un soggetto che darebbe luogo ricevendo o concependo, anzi lasciandosi concepire. Come negarle questa significazione essenziale di ricettacolo dal momento che questo nome le è stato attribuito da Platone? È difficile. Forse non abbiamo ancora pensato ciò che vuoI dire ricevere, il ricevere da questo ricettacolo, ciò che dice dechomai, dechomenon. Forse è questo di chora che cominceremo ad apprendere- a riceverlo. (J. DERRIDA)

Nessun commento:

Posta un commento