06 giugno 2008

CONFESSIONI DI UN ARCHITETTO

Non è un mero principio narcisistico a muovere la mia scrittura, il contrario.

E’ la constatazione della sua residualità (il vivo e il morto) affermata attraverso la conazione citazionistica, che è reiterazione di messaggi o loro riscrittura.
La possibilità di intersecare plurimi gradi di lettura, di stratificare i linguaggi e i relativi codici costituisce l’architettura del mio lavoro 0 il mio lavoro d'architettura.

A partire dalla contaminazione necessaria del contenuto-contenitore si esaurisce la trama - traccia di ogni progetto.

Il Corpo materiato nell’architettura prefigura un mundus elementare, in cui la possibilità offerta da un apertura mentale a 360° viene ricondotta ad una “razionalità limitata o autolimitantesi” (Gehlen), mantenendo per puro piacere o per gioco come evento interno ai modi di strutturazione della forma quel tocco di incipiente eclettismo proprio della nostra sezione temporale.

E' nel gioco a dadi proprio di una generativa della forma frutto di un'apparente casualità che lo slittamento degli elementi della composizione legittima la frammentazione del costrutto.

Così nel rimando ad un oltre, ad un al di là si esalta in maniera fittizia il rapporto, tra figura - sfondo - figurae, chi è chi o che cosa, all’infinito.

Penso allo scaling eisenmaniano, forte di una carica atopica, circolare.

Citazioni, riferimenti del progetto, complessità del suo sviluppo, non è facile sintetizzare, la fluidità, le dinamiche di un percorso creativo.

Offro alla vostra attenzione solo relitti affioranti dal magma creativo, vi lascio intravedere forse un orizzonte , da cui emergono qua e là tracce residuali di un unità perduta. Tutto ciò è per me materia di continua riflessione.

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